Questa sera su Rai2 (canale HD 502) alle 23:00 la commedia del 2013 di Sergio Rubini: Mi rifaccio vivo. Su Cineforum 525 la scheda di Giacomo Conti che riportiamo integralmente.
La lunga carriera di Rubini dietro la macchina da presa – cominciata nell’ormai lontano 1990 con La stazione – approda all’opus dodici e genera un film curiosamente esangue rispetto alle punte viscerali di carnalità e stranezza che animano di solito la poetica dell’attore-regista pugliese: titoli come L’anima gemella, La terra o Colpo d’occhio appaiono piuttosto distanti rispetto all’universo macchiettistico sciorinato in Mi rifaccio vivo. Il film narra la storia di Biagio Bianchetti, ossessionato fin da bambino dalla competizione con lo spregiudicato Otone di Valerio: una volta raggiunta la maturità i due si sfidano senza esclusione di colpi sul campo avvelenato degli affari e Biagio ha la peggio andando incontro al fallimento economico e famigliare. La scelta di un gesto estremo avrà esiti insperati che condurranno i due rivali a incrociare le loro esistenze con quella dell’ascetico manager filantropo Denis Rufini. La scommessa sarebbe quella di tentare la carta della comedy fantastica alla Frank Capra insaporendo uno spunto sfruttato con una squadra attoriale di tutto rispetto: la verve di Solfrizzi fa infatti da efficace ago della bilancia tra la fisicità di Lillo e la teatralità accentuata di Marcoré, attorniati da un gustoso cast di contorno che comprende tra gli altri Enzo Iachetti, Gianmarco Tognazzi, Bob Messini e lo stesso Rubini nel ruolo auto-ironico di factotum angelico. Non appare invece altrettanto valorizzato il lato femminile della partita che sacrifica goffamente in ruoli stereotipati Margherita Buy, Valentina Cervi e Vanessa Incontrada (rispettivamente signora alto borghese repressa, psicoanalista assatanata ed ex étoile della danza in crisi d’identità).
Si parte con un certo sprint attraversando la girandola di disgrazie di Bianchetti che approda in un chiassoso aldilà, strutturato come un albergo marxista condotto dall’anima del barbuto Karl che vorrebbe spedire al Piano Interrato Infernale tutti gli imprenditori imbroglioni che hanno sfruttato le classi subalterne. Proprio quando le polveri comiche dovrebbero detonare il ritmo purtroppo cala vertiginosamente nel corso di scenette dal sapore televisivo, le risate si spengono in sorrisi fiacchi e le lungaggini accentuano le debolezze di un intrigo risolto con deus ex machina non proprio brillantissimi. I meccanismi messi in campo rientrano in un repertorio farsesco abbastanza scontato: scambi di persona; equivoci da pochade; troppe gag sciape su cucina orientale, salutismo, finanza etica e pensiero new-age.
La blanda satira del capitalismo rampante di casa nostra che macina i concorrenti e ignora le regole viene stemperata in un “buonismo” di fondo un po’ facile: anche la carogna ha i suoi problemi, chi è buono dentro ottiene sempre una seconda possibilità, ognuno può riscoprire il valore dei sentimenti, basta una sigaretta per far pace e i cattivi veri spariscono con un’imprecazione romanesca che scatena un provvidenziale intervento divino. Puntuale come la morte giunge la moralina conclusiva dell’angelo-regista che ammonisce lo spettatore a scrutare attentamente dietro le apparenze (“le persone non sono quello che sembrano”) e invita se non all’arte di arrangiarsi per lo meno a quella di accontentarsi perché la vita “non è poi tanto male”.
Forse un po’ poco alla fine dei conti ma potrebbe essere sufficiente per chi voglia passare un’ora e mezza abbondante di relax, magari in attesa di una prossima prova registica più corposa e convincente.