Questa sera su La7 alle ore 21:00 andrà in onda Quiz Show, film di Robert Redford, che nel 1995 ottenne diverse nomination all'Oscar, tra cui quella per il miglior film. Ripubblichiamo alcuni passaggi della recensione scritta da Franco La Polla nel numero 342 di Cineforum (acquistabile qui).
[…] Un insignificante e allampanato ebreo di Brooklyn diventa l'eroe di una popolare trasmissione a quiz, “Twenty-One”, e, per volontà dello sponsor, viene soppiantato da un pulitissimo Wasp di famiglia intellettuale; l'ebreo se ne adonta e non si limita a leggere la cosa in termini economici, sottolineando il proprio orgoglio di razza. Il film è tutto qua, e la domanda a questo punto è: come si colloca nel quadro il giovane Van Doren? Questi non ha vinto per propri meriti ha accettato di assecondare il piano degli organizzatori, ha accettato le domande truccate. L'ebreo Stempel lo sa bene: a lui è capitato lo stesso, perché questa è la regola del telequiz. Il gioco è fatto così, o lo si accetta o non vi si entra nemmeno. Ma Stempel è infuriato per avere fatto la figura dell'ignorante davanti a un gentile. La copertina sul «Time» doveva essere sua, sue le folle deliranti, l'affetto di una nazione. Questa è l'America, uno scenario dove ci si contende in tribunale il posto di primo attore, non sulla base delle proprie capacità ma del proprio orgoglio etnico, della propria appartenenza a un gruppo, maggioritario o minoritario che sia.
[…] Ma il quadro è più complicato. Entra in scena un giovane avvocato di Washington. E’ ebreo anche lui, ma ha avuto la fortuna e la tenacia di studiare a Harvard: insomma, è una sorta di ibrido fra Stempel e Van Doren, conosce e mangia i biscottini kasher del primo ma parla la lingua Ivy League del secondo (col quale dunque si intende benissimo). Stempel è tutto il passato di Goodwin, Van Doren è il suo futuro. Il punto è: come abbandonare l'uno e abbracciare l'altro rimanendo se stessi? La risposta è semplice: osservando strettamente il credo morale elaborato due secoli prima dai Van Doren ed accettato da tutti gli Stempel che dall'Europa si sono stabiliti in America, ma oggi trasgredito dagli uni e dagli altri. Goodwin se la ride di cuore quando Dan gli offre un programma tv per corromperlo: non si tratta soltanto di onestà personale, Goodwin è lo homo novus della società americana! e non a caso entrerà di lì a poco nello staff di Kennedy. Goodwin è un uomo della "nuova frontiera" (che poi questa non fosse tanto nuova è cosa che non si può imputare a lui), l'eterno eroe che vuole abbattere il gigante e che riesce soltanto a fargli un occhio blu. Non ha capito che il vero problema non è un telequiz truccato e nemmeno le massicce aderenze dei potenti col mondo politico e giudiziario. Il vero problema è che tutta l'organizzazione sociale è un telequiz truccato.
[…] Ed è qui la bellezza del film di Redford, in tutto quello che non ci viene detto dei suoi personaggi e che pure trasuda da ogni loro gesto, da ogni loro sguardo, da ogni loro accento. […] Quiz Show è a tal punto un film sulla società-spettacolo che Redford vi ha infilato dentro una serie di ammiccamenti "meta" i quali, messi tutti insieme, diventano una cifra dell'opera.
[…] La risposta di Redford all'inevitabile critica che si attira questo tipo di film: sì, va bene, la de- nuncia (non della corruzione nei telequiz, amici, sia chiaro), e poi? E poi l'unica risposta possibile è quella del bravo Wasp che sta dietro la macchina da presa: siamo noi, gente di spettacolo, a entrare nell'immaginario dell'opera per che questa società non va bene. E’ tutto quel che possiamo fare sullo schermo del cinema in cui vi trovate, il resto sta a voi. Sta a voi mandare a quel paese una società di Mackie Messer, di delinquenti, che non può certo esser circoscritta a quei tardi anni '50. E’ Bobby Darin che canta in apertura, indimenticabile per chi lo sentì allora, la celebre canzone di Kurt Weill, ed è l'aggiornato Lyle Lovett che ce la ripropone in chiusura: come a dire, cambia lo stile ma non cambia la musica. I Goodwin come gli Stempel e come i Van Doren vorranno sempre delle belle automobili (le stesse che piacevano al Gatsby malauguratamente interpretato vent'anni fa dal medesimo Redford), ma c'è differenza fra chi le sogna onestamente e chi se le accaparra sporcamente. Questa, peraltro, è l'unica differenza. Per il resto, qualunque contesa fra ebreo e gentile (e nero e ispanico o altro) è soltanto un falso problema: la "correttezza politica" comincia e finisce nella nostra coscienza e nella nostra morale.