Questa sera su Iris (canale 22) alle 21:00 Se mi lasci ti cancello (ma sarebbe più indicato utilizzare il titolo originale: Eternal Sunshine of a Spotless Mind) di Michel Gondry, scritto con Charlie Kaufman. Su Cineforum 439 potete trovare l'articolo integrale di Matteo Bittanti (qui riproposto tagliato e privo di note).
Sensazionale la new wave americana. Diversa, intraprendente, ardimentosa, capace di conciliare avant-garde e botteghino. Spike Jonze, I giovani Coppola, Wes Anderson, Michel Gondry, Darren Aronofsky, Richard Linklater, Richard Kelly... Aspettando Mike Mills. Battitore libero, Charlie Kaufman, il Dottor K. Da Essere John Malkovich (Spike Jonze, 1999) ad Adaptation (ancora Jonze, 2003), passando per Confessioni di una mente pericolosa (George Clooney, 2003), il Dottor K. si è dimostrato il vero catalizzatore di questo anti-movimento, costruendo storie in bilico tra fantascienza – un certo tipo di fantascienza – e commedia surreale.
Anche per questo motivo, potremmo definire il secondo film di Monsieur Gondry – francese di origini, americano d’adozione – il seguito “ideale” (siderale?) di Essere John Malkovich. Nuove penetrazioni mentali, altre masturbazioni cerebrali, cibo per la mente. A fare da trait d’union tra i due film è Alexander Pope («Pope Alexander?»). La sua elegia «Da Eloisa ad Abelardo» è infatti evocata in entrambi i film. Qui ispira il titolo originale (Eternal Susnhine of the Spotless Mind, ovviamente banalizzato nella traduzione italiota). Tanto Essere quanto Eternal sono due trip cerebrali: da sempre K. usa il cinema per anatomizzare l’encefalo.
Se i film di Jonze si sviluppavano in modo sostanzialmente lineare, quello di Gondry ha una struttura rizomatica e ipertestuale. Si svolge e si riavvolge come una fisarmonica: ha un inizio, una fase centrale e una fine, ma non necessariamente in questo ordine (Godard docet). Si apre in media res, nel cervello di Joel. I flashback proliferano, confondendo lo spettatore e rendendo la visione frammentata, frattale e discontinua. Fenomenologicamente parlando, Eternal è un film che va (ri)montato, è un puzzle game cinematografico, come Memento o Following. [...]
La premessa è di una banalità straordinaria – una love story andata a ramengo – ma la diegesi lascia sgomenti. Come in tutti i film di Kaufman, troviamo personaggi nevrotici, atmosfere surreali, coppie scoppiate. Eternal – come Adaptation – è costruito come una serie di matrioske, un gioco di scatole cinesi. Il Dottor K. usa il déja vu come espediente narrativo, conciliando Chris Nolan con Luis Buñuel. [...]
Il primo romance è quello tra Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet). Joel è banale e mediocre, timido ed introverso. Darling Clementine, al contrario, è esuberante e sarcastica. Chioma variopinta (come Lola), pube eccitante (come Melanie Coste), temperamento sbarazzino (come Amélie). [...] La seconda storia d’amore – anch’essa già naufragata e insieme naufragante – vede coinvolti il Dr. Mierzwiak (Tom Wilkinson), presidente di Lacuna (come in quello splendido romanzo di Jonathan Lethem, «Oggetto amoroso non identificato», eh?) e la spumeggiante Mary (Kistern Dunst). [...] La terza storia d’amore è quella tra lo spettatore e il Cinema, un amore che certi film ravvivano e altri mitigano. Storie personali, s’intende.
A una prima lettura, Eternal suona come un ammonimento: chi dimentica i propri errori è condannato a ripeterli all’infinito. Eternal ci rammenta che le relazioni amorose richiedono un “adattamento” continuo nonché compromessi, negoziazioni. Suggerisce, timidamente, che forse sono proprio queste dinamiche a renderle così preziose. Il tema portante del film, non a caso, è firmato da Beck che rifà un classico degli anni Ottanta: «Everybody’s Got to Learn Sometimes»: ognuno ha qualcosa da imparare.
Ad un secondo livello, Eternal conferma che, per il cinema contemporaneo, la tensione tra ricordo e oblio non è una semplice preoccupazione né un mero pretesto narrativo, quanto piuttosto un’ossessione. Film come Memento, Novo, Paycheck, The Bourne Identity, Cypher, 50 volte il primo bacio etc. etc. non sono che allegorie di una società che sembra aver perso la capacità (il desiderio) di ricordare. Il dolore, la perdita e la sofferenza vanno estirpati a colpi di prozac, droghe sintetiche, information overload, formattazioni cerebrali. In questo senso, Eternal è più dickiano di Paycheck o Minority Report, perché qui l’escamotage “fantascientifico” (l’amnesia spontanea) è coerente con un mondo finzionale all’apparenza indistinguibile dal nostro, uno scenario in cui la tecnologia più avveniristica – in questo caso il computer che cancella i ricordi – è già arcaica e obsoleta. Eternal commuove e terrorizza, pur nella sua machiavellica cerebralità, perché ci ricorda che la memoria – ciò che ci rende umani troppo umani – è menzognera, malleabile, fragile. Eternal ci dice che il vero mostro della contemporaneità è Alzheimer, non Krueger. Nell’era dell’informazione pervasiva e persistente, l’oblio spaventa più della morte. Per (r)esistere occorre essere o, quantomeno, ricordarsi di essere... Forse c’è dell’altro. [...]
In Eternal, il tempo è fuori luogo e lo spazio è negoziabile: il film si svolge nella dimensione “reale” e in quella “mentale”, anche se non è per niente facile distinguerle: anzi tutta la vicenda potrebbe essere “in realtà” una fantasia di Joel. […] L’opera di Gondry è onirica, ricorsiva e generalmente spiazzante. […] Il cinema di Kaufman è impregnato di situazioni, personaggi e storie che rimandano ai comics di Daniel Clowes, Ed Brubaker, Adrian Tomine… Non c’è una differenza qualitativa tra John Cusak, Nicholas Cage, Jim Carrey: sono tutte variazioni dello stesso personaggio, un personaggio da fumetto, socialmente inetto, disadattato, umano. Liquidata da molti come «masturbazione mentale», la fiaba di Gondry è una meta-love story concettuale, surreale e struggente insieme. Gli inseguimenti nelle sinapsi di Joel sono più avvincenti dei più adrenalinici action movies. Il finale é aperto, e non poteva essere altrimenti. Più che un film, Eternal è un lavaggio del cervello. E il Dottor K. lava più bianco.