Questa sera su Rai4 (canale 21) alle 23:05 Snowpiercer del sudcoreano Bong Joon-ho (regista di Okja, film prodotto da Netflix e disponibile da giugno 2017 sulla piattaforma). Federico Gironi e Pier Maria Bocchi scrissero due pezzi per il nostro sito. Riproponiamo qui il primo dei due, ricordandovi che su Cineforum 533 è disponibile anche l'articolo di Giacomo Calzoni.
Snowpiercer è un film che procede sicuro, diritto, implacabile. Veloce e massiccio, come un treno in corsa verso la sua destinazione: verso l’obiettivo, centrato e centrale, di essere cinema capace di viaggiare sul doppio binario di una spettacolarità di genere, “bassa”, e di un’ambizione contenutistica più autoriale e “alta”.
Certo, come ogni viaggio in treno che si rispetti, non ci sono sorprese o deviazioni; si conoscono le stazioni che si attraverseranno e quale sarà quella di arrivo, ma non è questo l’importante. “Life is a journey, not a destination,” diceva Ralph Waldo Emerson, e per il cinema, certo cinema, vale lo stesso motto.
Come i viaggiatori ottocenteschi anticipavano il cinema a venire incorniciando, inquadrando il panorama in movimento fuori dai loro finestrini, ribaltando la prospettiva dall’esterno all’interno, Bong Joon-Ho ci chiede di guardare dentro (dentro il film, dentro di noi) e di osservare il panorama in movimento dei personaggi che, vagone dopo vagone, risalgono un treno, la corrente, la storia.
Vagone dopo vagone, tappa dopo tappa, prova dopo prova, con un crescendo videoludico; ma anche stazione dopo stazione, perché il Curtis di Chris Evans compie un percorso che è una vera e propria Via Crucis blasfema e postmoderna, in cui l’Eletto deve arrivare sul Golgota di una locomotiva nella quale lo aspetta il sacrificio di sé che è quello della propria innocenza, la crocefissione della Verità. Di quella verità che già conosce, che tutti conosciamo, che non ci sorprende, perché è la verità della natura umana, e non solo quella del capitalismo, post- o meno che sia.
Come ogni Via Crucis che si rispetti, anche quella di Snowpiercer è sporca e cruenta, fatta di sangue e sudore, e come ogni Via Crucis è anche capace di aprire squarci di consapevolezza, misericordia e sacrificio per gli altri. E capace di condurre ad una resurrezione umana (o perlomeno alla sua possibilità) passando per un sepolcro bianco di neve.
Nella regia di Bong, come nella sceneggiatura da lui scritta con la Kelly Masterson di Onora il padre e la madre, c’è tutta la fascinazione moderna per il meccanismo, per il dispositivo, per la sua precisione e la sua pesantezza metallica e la sua ingegneristica fluidità. Un meccanismo che non scarta, non spiazza, ma che porta a destinazione con una regolarità e una sicurezza invidiabili - in tempi fluidi, incerti e digitali come i nostri - e cariche di nostalgia per un cinema fatto di materia (anche grigia) che va lentamente scomparendo.