Questa sera su Rai Movie (canale 24) alle 21:10 The Missing di Ron Howard. Film del 2003, sicuramente non uno dei maggiori successi di critica e pubblico per il regista statunitense. Protagonisti Cate Blanchett, Tommy Lee Jones e Evan Rachel Wood. Il film venne recensito su Cineforum 435 da Simone Emiliani e Giona A. Nazzaro. Ed è proprio la sua scheda che vi proponiamo (con dei tagli).
Cuori ribelli, case mobili e le porte del cielo
Sarebbe insopportabilmente snobistico affermare che con The Missing, probabilmente l’insuccesso più scottante e doloroso della sua lunga e onorata carriera, Ron Howard accede finalmente a quel pantheon dei classici cui era destinato sin dai tempi dei suoi esordi cormaniani. […] Frettolosa nell’ansia d’appiccicare etichette, la critica ad Howard ha affibbiato la più triste e pigra, quella della mediocrità (che, per mera ironia omofonica, allude se non altro etimologicamente all’arte sottile della medietas del regista). In realtà Howard oggi è un cineasta più che mai prezioso e The Missing, film che opera intersezioni e attraversamenti di opere paradigmatiche come Sentieri selvaggi, Gli implacabili e Ulzana, evidenzia, a differenza di Costner che riprocessa il genere western e la sua retorica attraverso una poetica attoriale, che la messinscena invisibile, nell’era del taglio digitale ultra veloce, è in sé una dichiarazione di politica estetica di rara forza.
Con una filmografia che comprende film diversissimi tra loro come Splash - Una sirena a Manhattan, Cuori ribelli, Fuoco assassino, Ransom, EdTV e The Grinch e una carriera che passa in maniera esemplare attraverso figure cruciali del cinema americano come Corman, Don Siegel, John Wayne e George Lucas, Ron Howard è sempre riuscito (suo malgrado?) a sottrarsi alla esegesi auteuristica che invece nel suo caso è, oggi più che mai, molto più che dovuta. C’è infatti un magistero dell’arte del cinema americano che purtroppo da molto tempo è in via d’estinzione, e studiare le modalità di articolazione del cinema howardiano permette di osservarne da vicino il funzionamento più intimo.
Sembra esserci una crudele ironia nel fatto che uno dei pochi fallimenti economici di Howard sia legato al western. Il western, infatti, è sempre storia e faccenda dell’oggi. Quindi cinema politico per eccellenza. E Howard, che negli extra del dvd dell’edizione americana del film, cita John Wayne che gli tramandava sul set di The Shootist la lezione impartitagli da John Ford sul valore del “restraint”, sembra collocarsi non tanto nella scia di The Searchers […].
E non solo: The Missing è come se ripensasse la creazione dei confini americani alla stregua di una teoria di ratti e di stupri, unico erotismo di una terra nuda nella quale è possibile pensare persino il cortocircuito di una bambina che fa risorgere un pellerossa. The Missing, più che colui che manca (o è venuto a mancare…), ciò che manca. […] quanto in quella del “dimenticato” Missione in Manciuria [...]. E fatalmente, come Terra di confine, anche The Missing non può fare a meno di rivelare che l’atto della fondazione è mancante. Che la Creazione è imperfetta. E che – necessariamente, di conseguenza – le famiglie non sono fatte per durare ma per essere rifondate, ripensate, verificate, contaminate. Come non commuoversi di fronte alla domanda frustrata di tornare a essere figlio di un padre rifiutato che teme per la sua anima morsa da un serpente a sonagli? The Missing è tutto pensato come confini che svaniscono (la prima volta che appare, vediamo il brujo che si materializza nottetempo nei vetri di una finestra…) e che danzano con i coyote (e a volte – come rivela una scena eliminata dal film – persino i puma possono sembrare coyote…). Le ombre diventano carne e la carne diventa d’ombra e di tenebra. E tra padre e figlia resta un’assenza, come tra “indiani” e “bianchi” un’eco vuota che solo John Milius e Walter Hill hanno cantato con altrettanta intensità in anni recenti. E coraggiosamente Howard è proprio in questo iato che tenta di insinuare il suo film (simile in questo al fotografo che tenta di catturare l’immagine del brujo e cui poi – crudele ironia – verranno cavati gli occhi). Non si tratta (non solo, in ogni caso…) di omaggiare Ford e i suoi capolavori quanto di evocare, ancora una volta, i fantasmi di un cinema che tenta con grande dignità di ricentrarsi nel proprio Sitz im Leben.
Ron Howard, che vanta una particolare confidenza con le nuance (anti)eroiche della sconfitta e che come un Robert Aldrich rimasto miracolosamente in piedi alla fine della partita è in grado di trarne con grande acume politico tutto il precipitato mitopoietico negativo – basti pensare allo struggente Apollo 13 – sa che non si torna a casa (non da vivi, perlomeno) e che alla fine non resta che raccogliere le ossa (o ciò che resta…) di coloro che abbiamo amato o che non siamo stati in grado di amare e poi spostare ancora una volta la propria casa. Già perché la casa è un beautiful (state of) mind che va (ri)conquistato giorno dopo giorno. […] The Missing, in questo senso, è anche un film su come (non) si entra nella casa degli altri (e nell’epoca della epifania dell’Islam non potrebbe esserci presa di posizione politica più radicale e lucida). La guerra si dichiara e si scatena da come decidi di entrare nella casa del tuo vicino. E ancora: la guerra è – inevitabilmente – distruggere la casa del tuo vicino (ossia il suo corpo…). [...]
Più che un surwestern baziniano, The Missing di Ron Howard è un oggetto fieramente scheletrico (siamo pur sempre nell’era della fine del – primo… – cinema occidentale…), un dolente verso whitmaniano, una rima petrosa, che come l’incantesimo di un brujo vittima (o artefice) di un’irresistibile paramnesi ci permette ancora una volta di sognare ciò che è stato il cinema americano proprio mentre non lo è più e, soprattutto, non lo sarà mai più. The Missing: ciò che manca. Il cinema (americano), probabilmente.