Ho deciso, faccio outing: ammetto di aver amato Tracks, il film di John Curran che ha suscitato l’ilarità dei colleghi e amici critici per la sua ingenuità, la messinscena didascalica e illustrativa, i rallenti dei capelli al vento. Nel tabellino dei voti gli ho dato 3 (la sufficienza) solo per soddisfare la parte più cinicamente critica del mio essere spettatore. Ma avrei voluto dargli 4. Commosso dalla tenacia di quella pazza ragazza che sfida i propri limiti, dal rapporto con il cane e i dromedari (sì, ammetto anche questo, abbiate pietà!), dal deserto, dagli incontri, dal bisogno insopprimibile di silenzio e semplicità.
Così come mi ha commosso Nicolas Cage nei panni di Joe (fortunatamente più facile da difendere anche sul piano cinematografico), con la sua ostinata ricerca di un senso per l’insensata miseria umana, l’istinto che lo trascina giù, ma anche il coraggio, la brutale tenerezza, lo spirito eccentrico, l’affetto per un ragazzo che gli dà la forza di provarci.
E’ sempre la stessa storia: cosa cerchiamo in un film? Che ci assomigli? Che assomigli all’idea che abbiamo di ciò che dovrebbe essere un buon film? Noi critici, ai festival, tendiamo ad essere dei severi notai che misurano la conformità dell’opera a una certa idea di (grande) cinema. Dimenticando che certe storie, certi attori e attrici particolarmente ispirati, certe emozioni, arrivano dritte allo scopo nonostante i mille difetti e i diecimila problemi di stile, trama, dialoghi, fotografia. Gli spettatori, in gran parte, cercano quelle emozioni, e vale la pena avvisarli quando ce ne sono, magari di qualità intellettuale discutibile, ma che vale la pena provare.
Parlavo di queste cose ieri con Bruno Fornara, che la Mostra l'ha costruita insieme al direttore e agli altri selezionatori, e che la pensa come me. Nella Mostra ci possono benissimo stare, ci devono stare, la moglie del poliziotto, la signorina Violenza e la disperata "famiglia" di Tsai Ming-liang, accanto alla ragazza con i dromedari che attraversa l'Australia e a Nicholas Cage che vuole trovare un figlio da crescere. Tutto sta a vedere se poi critici e spettatori sanno passare con eleganza danzante da un tipo di film all'altro. Dal cosiddetto "rigore" ai cosiddetti "sentimenti".