Mentre prosegue la sfilata veneziana di film belli e imperfetti (vedi Tom à la ferme di Xavier Dolan, talento cristallino), mentre gli shock annunciati si rivelano provocazioni-esibizioni forse troppo facili (Miss Violence, ad esempio, aspettando Kim Ki-duk), mentre i grandi come Wiseman si confermano giganti (anche maneggiando una materia tutt’altro che spettacolare, come in At Berkeley), arriva la notizia, già nell’aria da tempo, del ritiro dalla scena di Hayao Miyazaki. Sono passati molti anni ormai - almeno dall’Oscar a La città incantata, che lo rivelò anche ai più distratti – dai tempi in cui il maestro dell’animazione giapponese era un fenomeno di culto per pochi intimi, che centellinavano gli episodi di Conan, il ragazzo del futuro e Lupin III, per poi godersi il crescendo di ispirazione e meraviglia da Nausicaa a Laputa, da Totoro a Kiki, da Porco Rosso alla Principessa Mononoke, fino a quel prodigio di grazia bambina che è Ponyo. Vista nell’ottica di questo annuncio, diventa ancora più affascinante la somiglianza tra l’ingegnere-scrittore che vuole trasformare i sogni in realtà, al centro di Kaze Tichinu-The Wind Rises, e questo poeta dell’animazione, che ha saputo unire le ragioni dell’arte e quelle del sentimento. La vita può essere dura e ingiusta (quanta malinconia in questo film-testamento!), il mondo resiste, usa, manipola, trasforma il sogno del volo in arma mortale (gli Zero progettati dall'entusiasta ingegnere). Ma non può che inchinarsi di fronte al genio di Miyazaki e all'universo poetico che ha saputo creare. Onore al maestro.