Si può ancora dire di un film che è “ben scritto” e “ben recitato”? Suona troppo novecentesco? The Edge of Seventeen non è Hollywood ma neppure Sundance, non è del tutto convenzionale ma neanche artificiosamente personale, non ha l'aurea del cult movie pop-hypster ma neanche le movenze dello scult per iniziati. La sua più grande virtù è ridare un senso a concetti come teen movie o coming of age, roba che ormai solo a sentirla nominare viene uno sfogo sulla pelle, soprattutto se poi la versione italiana del film si intitola 17 anni (e come uscirne vivi).
L'esordiente Kelly Fremon Craig ha trovato il modo di unire ironia, sensibilità e sincerità (il Graal della commedia di e per teenager), raccontando la storia di una ragazza alle prese con le paturnie dell'inadeguatezza e dell'insicurezza, sconvolta dalla scoperta che la sua migliore amica (l'unica amica) se la fa con l'odiato fratello palestrato e di successo.
La scuola e la famiglia, naturalmente, la festa in cui ti senti inadeguata, la morte di papà (l'unico che ti capiva), la madre alle prese con la menopausa, il compagno sfigato innamorato, il ragazzo figo che lavora da Petland («Dovrei entrare lì dentro e dire: scusami, dove sono i pesci beta, potresti anche infilare il pene dentro di me?»). Con una fresca collezione primavera-estate di dialoghi micidiali e battute puntute (lo scrivente non rideva così da un bel po' di film), ma anche momenti di autentico dolore e malinconia post-puberale (lo scrivente non pensava di potersi commuovere ancora di fronte alle pedestri paure esistenziali di un'adolescente).
E lo “specifico filmico”? Sta nel viso imbronciato di Hailee Steinfeld, ordinaria quanto basta, logorroica, aggressiva, depressa, vestita malissimo, dotata di un umorismo folgorante, terrorizzata dal «dover passare il resto della mia vita con me stessa», convinta com'è di non avere qualità. Non per niente si parte da un annuncio di suicidio, polemicamente incoraggiato dal geniale professore di storia, e si prosegue stabilendo la fondamentale divisione nel mondo fra «le persone che emanano sicurezza, eccellendo nella vita, e quello che sperano che i primi muoiano in un'esplosione». Woody Harrelson è il padre-prof che tutti vorremmo essere, spietato, sarcastico, distaccato, eppure anche tenero, presente, consapevole della necessità di rispettare tempi e libertà altrui, e per questo poco avvezzo ai sermoni. Lui non educa, lui è, sta, agisce solo quando serve.
Il fatto è che gli adolescenti sanno essere odiosi e cattivi come pochi altri. Nadine, la protagonista di questa storia raccontata in prima persona, è la vittima e insieme la carnefice. Dovrà farne di strada per capire ciò che tutti gli adolescenti prima o poi devono capire, e cioè che il mondo non gira intorno al loro ego, i loro standard e giudizi, le loro ossessioni compulsive. Nulla di nuovo, ma tutto sempre nuovo, se sai dosare i dettagli, le invenzioni che spiazzano, le variazioni sul canone, dentro una storia contemporanea e senza tempo (siamo tra gli '80 e gli anni Dieci, a piacimento). “Ben scritto” e “ben recitato”.
Nadine e Krista sono migliori amiche e cercano insieme di cavarsela nel crudele mondo del liceo. Quando Nadine scopre che Krista sta frequentando segretamente suo fratello, qualcosa si rompe nel loro rapporto.