Cavalcando l’onda del successo del primo capitolo (lasciato saggiamente con finale aperto), arriva ora il sequel dell’horror post-apocalittico A Quiet Place e, prima di riattaccare da dove si era interrotto, propone un incipit prequel che racconta l’inizio della rovina. La bella scena iniziale, che colloca il quando dell’arrivo dei mostri e lascia il come un po’ avvolto nel mistero, e che serve come escamotage a John Krasinski – ancora regista e sceneggiatore – per indossare (per poco) i panni del padre di famiglia Lee, crea un raccordo tra il finale del film precedente e il principio di questa seconda avventura di sopravvivenza. L’obiettivo è sempre uno: scappare, senza fare il minimo rumore, da minacciose creature aliene, sorta di demogorgoni ciechi ma con un udito sviluppatissimo, che, a suon di artigliate, si prendono molto più spazio sullo schermo.
Al centro della narrazione ci sono ancora gli Abbott (la madre, i due figli e un neonato), in cerca di un luogo tranquillo dove rifugiarsi dagli innumerevoli pericoli del mondo in cui si trovano costretti a vivere. Ad aiutarli interviene, un po’ controvoglia, il disilluso ma in fondo di buon cuore Emmett, rimasto ormai solo. Tra un attacco dei mostri e l’altro, sono però i ragazzini a salvare gli adulti, prendendo in mano la situazione: la coraggiosa Regan (una brava Millicent Simmonds), che al posto di nascondersi, vuole combattere per il suo futuro, e il timoroso Marcus (Noah Jupe), che impara il significato della crescita. E se il primo film raccontava cosa vuol dire essere genitori (il sacrificio del padre, la maternità, l’istinto di protezione, i conflitti), questo secondo passa la palla ai figli, entrambi sulla soglia dell’adolescenza, e mette in scena un coming of age catastrofico dove gli ostacoli da superare prendono le sembianze mostruose di alieni semina-distruzione.
In A Quiet Place II ritornano molti degli elementi che già avevano funzionato nel capitolo precedente, soprattutto il gioco con il sonoro, che se là risultava fresco e più o meno originale, qui si ripete, seguendo lo stesso schema di base, con momenti di silenzio assoluto e alterazione di rumori (in particolare le soggettive sonore della sordomuta Regan) spezzati puntualmente dall’arrivo del mostro di turno.
Anche sul piano visivo si ripropongono alcuni pattern (non si contano, per esempio, le inquadrature basse, a livello terreno, per mostrare l’avanzare dei personaggi in punta di piedi, attenti a non farsi sentire), mentre le novità sono connesse più che altro allo sviluppo della trama: c’è infatti una maggiore interazione con il mondo esterno, laddove il primo film si muoveva esclusivamente attorno al nucleo famigliare degli Abbott.
Nel sequel non c’è solo l’Emmett di Cillian Murphy, ma spuntano anche nuovi pericoli, questa volta umani, che sembrano usciti dritti dritti dalla nebbia di San Antonio Bay. Queste trovate inedite (tra cui l’isoletta che ricorda un po’ l’atmosfera di Lost) sono però abbozzate, inserite per portare avanti la storia e arricchirla di nuovi intrecci, con un finale aperto che lascia intendere l’arrivo di possibili nuovi capitoli.
Evelyn Abbott e i suoi figli sono ancora in fuga da quando una razza aliena, sensibilissima ai rumori, ha invaso la terra. Quando gli Abbott escono dal loro rifugio attenti a non attirare l’attenzione dai mostruosi extra-terrestri, incontrano una figura misteriosa che li informa che non è rimasto più nulla.