Dopo essersi immersa nella disfunzionalità mostruosa dell'istituzione familiare, aver sovrapposto tempi e spazi grazie alla discronia del jet lag e isolato in prigioni dorate una regale starlet e un divo in crisi, Sofia Coppola aggiunge un capitolo del suo scavo nei meandri dell'alienazione introducendosi in un universo senza spessore, fatto di Fame & Luxury assunti di riflesso.
Nel raccontare la vicenda realmente accaduta di alcuni adolescenti lesti a intrufolarsi nelle abitazioni di tutta una serie di personaggi del jet set losangelino, celebri solo per il fatto di essere famosi, Sofia opera per prosciugamento della materia trattata, come se la macchina da presa si fosse trasformata in un enorme vacuum cleaner.
Partendo dall'articolo di Nancy Jo Sales, The Suspect Wore Louboutins, apparso su "Vanity Fair", il film intesse volutamente una dialettica fittizia tra la vacuità delle aspirazioni individuali e la nullità di un contesto apparente, fondato sul culto dell'immagine e sulla virtualità. I teenagers ritratti sono l'emblema di quel nichilismo esasperato ed esasperante già descritto da Bret Easton Ellis in Meno di zero, con l'aggravante della complicità di un mondo telematico che asseconda l'alienazione travestendola da atteggiamento cool. Ragazzi la cui ambizione è rispecchiarsi nel lusso dei protagonisti del gossip, in un gioco perverso di riverberi e rifrazioni, lungo l'asse dei quali l'esistenza degli uni si nutre con slancio parassitario della celebrità degli altri.
La regia innesca il rapporto, lo stimola e lo illustra, limitandolo a una relazione perversa da cui è completamente espunta la realtà effettiva, assorbita da un diaframma sostitutivo che pur fornendo informazioni reali circoscrive in sé qualunque rapporto con l'esterno. I motori di ricerca con cui si reperiscono la dislocazione delle ville e le notizie sull'assenza da casa delle star, perché impegnate in feste all'altro capo del mondo, rappresentano la chiave di accesso verso lo sfavillante dominio di scarpe, lustrini, paillettes e Rolex cui i ragazzi ambiscono, ma, allo stesso tempo, sono la prigione di virtualità straniante che li separa dal mondo.
In quest'ottica opera il prosciugamento di Sofia Coppola, nell'esaurire progressivamente l'esterno rispetto ai personaggi, condannandoli a una prospettiva esclusivamente interiore, vittima del proprio cortocircuito a causa del quale il giro di perlustrazione nei pressi delle ville si compie con google streetview, i ricordi elettrizzanti di una festa sorgono attraverso le foto postate su facebook, un violento incidente d'auto giunge improvviso, privo di preavviso, vissuto totalmente all'interno dell'abitacolo.
Un annullamento della realtà incapace di riflettere anche sulle conseguenze degli atti: la sequenza del processo, che a rigor di logica dovrebbe mettere di fronte la banda di topi d'appartamento fashion con le sue responsabilità, è completamente omessa, sostituita da un prima, in cui i personaggi prendono posto in aula come a una cerimonia di premiazione, e un dopo, in cui escono dall'aula al rallenti, in un'ideale passerella di moda tra i flash dei fotografi.
Nessuna morale è possibile, solo una dilatazione all'infinito e una spettacolarizzazione della colpa, secondo un principio di alterazione perversa capace di generare nuovi proseliti. Con un'ultima inquadratura prevedibile, probabilmente anche banale nella sua scelta indicativa (uno sguardo in macchina di Emma Watson che rimanda i fan televisivi al suo sito internet per seguire gli sviluppi della vicenda giudiziaria), ma forse proprio per questo inquietante. Perché quell'alienazione che Bling Ring pare denunciare si è ormai materializzata e vive costantemente in mezzo a noi, erodendo la realtà effettiva di cui ci illudiamo di far ancora parte.
In una Los Angeles tormentata dal successo, un gruppo di adolescenti ci mostra la frenesia criminale ed emozionante delle colline di Hollywood. L’ossessione per la vita delle star porta i ragazzi a rintracciare online gli indirizzi di molte celebrità, tra cui Paris Hiliton, Orlando Bloom e Rachel Bilson, arrivando a sottrarre dalle loro abitazioni circa 3 milioni di dollari in beni di lusso. Basato su un evento realmente accaduto, il film racconta la storia della banda più famosa di Hollywood, ribattezzata dai media "Bling Ring”.