Beckett, il protagonista del film di Ferdinando Cito Filomarino che ha aperto l’ultimo Festival di Locarno e che da venerdì 13 è disponibile su Netflix, è un personaggio fuori stato, fuori luogo, fuori controllo. Un americano in vacanza in Grecia durante la crisi economica degli anni ’10 che vede qualcosa che non doveva vedere e per questo viene braccato dalla polizia locale. Come in un giallo di Hitchcock, o più ancora nella sua versione rivista dal Polanski di Frantic, in cui lo stile sempre realistico e mai plastico (qui la fotografia è del collaboratore del produttore Luca Guadagnino, Sayombhu Mukdeeprom) che mette in risalto la solitudine dell’uomo comune spinto suo malgrado a diventare eroe e soprattutto l’estraneità del thriller classico, con la sua trama pretestuosa e illogica, alle dinamiche della storia contemporanea.
Nel suo viaggio dall’entroterra della Grecia settentrionale ad Atene, il povero Beckett (l'evidenza del suo nome ha probabilmente un senso, anche se non così chiaro, o forse riconducibile semplicemente all'impossibile anonimato dell'eroe eponimo) è costretto a immergersi nella protesta, a entrare in relazione con il suo tempo e le sue tensioni, quando solo pochi giorni l'incidente che ha cambiato la sua vita aveva scelto con la fidanzata di fuggire da Atene, e in particolare prorpio da quella piazza Syntagma epicentro delle proteste. Il viaggio raccontato dal film ha dunque un evidente sottotesto politico, come una chiamata alle armi o quantomeno a una maggiore consapevolezza, per ogni americano sul suolo europeo, del ruolo degli Stati Uniti nell’affossamento economico della Grecia e nella gestione della crisi degli anni ’10.
Il passaggio di Beckett da un mezzo di locomozione all’altro (prima a piedi lungo i pendii delle montagne, poi in autobus, poi ancora in treno e infine in automobile verso Atene) porta anche a una rinascita simbolica dell’eroe, nascosto nel baule di un’automobile per sfuggire a un controllo e fatto riemergere alla luce del sole. La nuova vita riporta al luogo di partenza (Atene), dove Beckett torna a casa (l’ambasciata americana), salvo poi fuggirne ancora nel momento in cui il film passa dal thriller al genere cospirazionista, dalle parti di Pollack da un lato e di Costa-Gavras dall’altro (e non contro, come ha scritto qualcuno, solo perché oggi Costa-Gavras è un regista bollito e pure potente e quindi scomodo da citare...).
Filomarino mette in fila una trama di scenari realistici e ideali che il cinema ha il compito di mettere in ordine e in parte risolvere: la connivenza fra l’autorità greca e l’estrema destra di Alba dorata (rinominata “Sunrise”); la militanza e la diversità delle forza di sinistra; il ruolo della Cia nel direzionare le proteste da una parte o dall’altra; la rabbia della gente e al tempo stesso la sua indifferenza… Evidente e un po' semplicistico per il modo in cui tratteggia un contesto economico, sociale e politico al collasso, Beckett è in realtà un catalogo di situazioni chiaramente identificabili che finiscono per togliere suspense alla trama e profondità alla ricostruzione storica. La sensazione è quella di trovarsi di fronte a un esercizio un po’ gratuito, o più ancora a un progetto ambizioso e tutto sommato ben confezionato, privo però di una messinscena solida e capace di reggere ai cambi di scenario e di ritmo.
In qualche modo un film come Beckett certifica la lontananza del genere dalle trame controverse e contradditorie della Storia, finendo però per patire la stessa debolezza che denuncia, in un corto circuito non abbastanza consapevole da risultare interessante.
Durante una vacanza in Grecia Beckett, un turista americano, diventa l'oggetto di una caccia all'uomo in seguito a un incidente devastante. In cerca di salvezza presso l'ambasciata statunitense di Atene, Beckett deve volteggiarsi tra le forze dell'ordine greche, la crescente tensione politica e un'intricata ragnatela di intrighi.