Ben è tornato. Il titolo annuncia le premesse del film di Peter Hedges (storia di un giovane tossicodipendente che sceglie di passare le vacanze natalizie con la famiglia) rivelandone tuttavia un valore semantico ben preciso. Tornare (be back in inglese): un’azione ripetuta, gesti, fatti e parole già precedentemente compiuti e ora nuovamente in corso. È un senso di ripetizione, di ciclicità, un circolo senza fine, una trappola temporale e causale da cui pare pressoché impossibile fuggire.
Ben – interpretato dal figlio del regista, Lucas Hedges – è tornato, già lo aveva fatto. Ben ha rovinato le feste dell’anno precedente, «e quelle dell’anno prima ancora», ricorda la sorella. Ogni Natale, ogni decisione del ragazzo, così come ogni sua azione, ogni strada percorsa o luogo calpestato, ogni persona incontrata o ricordata – tutto è già stato vissuto, tutto pare già visto.
Un mondo ciclico come quello raccontato nel film è un mondo in cui la presenza del destino ha la meglio, in cui il fato vittorioso incombe sui personaggi come nella più classica delle tragedie. È una condanna dalla quale non è ammessa salvezza. Una profezia entro la quale non esiste libertà d’arbitrio. Poiché di destino si tratta, non di scelta. E a operare questa macchina, pare, è qualcosa di altro dall’essere umano. Non un dio, però, non una forza benevola, ma piuttosto una sorta di scienza esatta, e in quanto tale definitiva, necessaria e incorruttibile.
Il punto di vista è esterno, d’altronde, oggettivo e artificioso, e il titolo non è in prima persona ma in terza. E ce lo dice in anticipo, come a darci un vantaggio rispetto a quanto – capiamo poi – si ripeterà o tenderà a ritornare: non è solo il ritorno del personaggio, ma tutto ciò che questa riapparizione implica, perché è tutto ciò che la sua presenza ha significato in precedenza. È la ripetizione degli errori di Ben e della sua famiglia, come la ripetizione della tentazione, della ricaduta, delle riunioni anonime.
La prospettiva, così come l’entità causale, è oggettiva, è asettica, distaccata, lontana. L’occhio – che pare a volte confondersi con quello di una madre speranzosa (Julia Roberts), che ha paura ad avvicinarsi troppo ai fatti per timore della verità – si mantiene a una distanza di sicurezza. È la prospettiva delle telecamere di sorveglianza, come al centro commerciale, come al distributore di benzina, ed è la prospettiva del cellulare della sorella che registra il video di Ben per conto del genitore.
È in altre parole la prospettiva di chi controlla. Tant’è vero che nei momenti in cui nessuno è presente insieme al ragazzo, nei momenti in cui nessuno è testimone, Ben non c’è, l’occhio lo perde, e con esso gli altri personaggi e pure lo spettatore, che non sanno dove si trovi né cosa stia facendo.
Così viene creato questo senso di tensione, questo clima di sfiducia, un’atmosfera di perenne incertezza. È la precarietà della prova – «ti diamo 24 ore», lo allerta la madre – che è anche la precarietà del controllo, l’instabilità della sobrietà di un tossico. Perché, come il destino è una condanna, il passato è qualcosa di altrettanto concreto e traumatico. «Non posso cancellare quello che ho fatto», ammette Ben, i ricordi sono fitte al cuore, sono lacrime di dolore per chi ne è vittima e per chi ne è responsabile, ma tutto rimane vivido, presente, latente anche nelle scuse più sentite, nelle più determinate intenzioni di fare meglio, di cambiare il corso delle cose.
Eppure l’universo attento percepisce lo scompenso, tentando in tutti i modi di rimettere nella propria prevista – e prevedibile – carreggiata le marionette che dall’alto, da fuori manovra. L’unica illusione di salvezza da una tale condanna, l’unico sollievo dal dolore sembra essere l’oblio – quello del dottore con l’Alzheimer che non ricorda minimamente il proprio paziente, quello di un luogo sperduto nel cimitero dove la madre si aspetta di dover seppellire presto il figlio. Perché così, solo così la vita sarebbe più semplice, il peso del destino più tollerabile. Ma è proprio così che deve andare?
Ben è un adolescente che sta cercando di disintossicarsi. Il giorno di Natale decide di uscire dalla comunità per passare le feste in famiglia. La madre Holly, sorpresa, lo accoglie a braccia aperte, ma capisce presto che qualcosa non va. Durante le 24 ore successive Holly farà tutto ciò che è in suo potere per salvare il figlio ed evitare il collasso della propria famiglia.