Gitanjali Rao

Bombay Rose

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Dopo essere stato presentato a Venezia, in apertura della Settimana internazionale della critica 2019, è da poco disponibile su Netflix Bombay Rose, film di animazione diretto dall’esordiente Gitanjali Rao. Nel ginepraio di Mumbai, s'intrecciano le vite di numerosi personaggi, tra amori (im)possibili, divergenze religiose, losche bande criminali e un’irresistibile passione per lo spettacolo. Bombay Danny Rose, verrebbe quasi da dire. Non che il film abbia più di tanto da spartire con il lungometraggio di Woody Allen (se non una buffa e casuale assonanza), eppure ci sono diversi elementi che in maniera non troppo forzata strizzano l’occhio alle disavventure newyorkesi del peggior impresario di varietà conosciuto sul grande schermo.

Bombay Rose è infatti prima di tutto un inno alla passione. Non solo quella imprevedibile e focosa dell’amore (rappresentata dalle forte tonalità rosse e, va da sé, dal simbolo della rosa) ma anche quella della magia. Da un lato uno schermo (il cinema protagonista dall’inizio alla fine lungo l’intero film) in grado di rapire lo sguardo di tutti, di far sognare a occhi aperti.  Dall’altro una realtà più grigia e monocromatica che però, all’interno dei suoi anfratti, è in grado di nascondere porte che aprono a nuovi volti, nuove storie, nuovi mondi. Un po’ come la Magnolia che capeggia sopra la mappa della San Fernando Valley nel film omonimo di PT Anderson, anche la rosa di Mumbai cela al suo interno un vero e proprio labirinto delimitato non da siepi verdeggianti ma da sentimenti contrastanti.

C’è di tutto in Bombay Rose, dall’emancipazione femminile alla meschinità dei prepotenti, passando per una spietata differenza di classe e un altrettanto assurda lotta di religione: un vero e proprio micromondo restituito sullo schermo nella maniera più chiara e veritiera possibile, quella dell’irrealtà. Proprio qui risiede infatti la grandezza dell’operazione di Rao. Dopo sei anni di lavorazione (un periodo molto lungo giustificato da una ricerca formale curata e minuziosa, mirata a fondere insieme animazione tradizionale e digitale), lungo i quali la regista ha ricoperto anche il ruolo di sceneggiatrice, animatrice e montatrice, ciò che maggiormente emerge dalla pellicola è il desiderio di tornare a creare qualcosa, di dar vita a un immaginario.

Il film si apre con un bellissimo e sincero omaggio al cinema. Un sogno emozionante e unico interrotto a causa di una censura (uguale a quelle al centro della bellissima sequenza finale di Nuovo Cinema Paradiso). Se anche la magia dello spettacolo viene quindi proibita, viene privata a tutti noi, allora resta solo la realtà nella quale rifugiarsi. Ed è proprio qui, tra le pieghe o, meglio ancora, le piaghe di una metropoli che somiglia più a una Babele, che l’animazione deve intervenire con i suoi colori, le sue forme, il suo calore.

Bombay Rose costruisce laddove tutto è stato distrutto, osa sfidare un cinema ormai troppo vecchio che rispecchia una società paralizzata. Come un fiume in piena (non a caso vi sono continui riferimenti al Rewa), il film si ciba di tutto: danza, musica, letteratura, cinema, teatro, pittura. Assorbe ogni singolo frammento e cerca di restituirlo con una forma nuova, sfidando il canone e rischiando di mettersi alla berlina. Ma proprio per questo riesce a portare in scena senza filtri la sola e unica rivoluzione che sta guidando il nostro presente, quella dettata dalla passione. La medesima che muoveva anche il Danny Rose di Broadway.


 

Bombay Rose
Regno Uni, India, Francia, Qatar, 2019, 93'
Regia:
Gitanjali Rao
Sceneggiatura:
Gitanjali Rao
Montaggio:
Gitanjali Rao
Musica:
Swanand Kirkire, Cyli Khare
Produzione:
Cinestaan Film Company
Distribuzione:
Netflix

Nella grande città si lotta per la sopravvivenza e una rosa rossa unisce tre storie di amori impossibili. L’amore fra una ragazza irraggiungibile e un ragazzo. L’amore fra due donne. L’amore di un’intera città per le sue star di Bollywood.

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