«Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.»
Se nel 1909 l’automobile, a sentir Filippo Tommaso Marinetti, era maschile, altrettanto accade nel 2014 per opera di Scott Vaugh, regista della trasposizione cinematografica di Need for Speed, videogioco di corse automobilistiche nato giusto vent’anni fa.
Uomo al volante, adrenalina costante: Tobey Marshall (Aaron Paul), giovane meccanico di Mount Kisco, quando non smonta motori in officina li fa ruggire sulle strade della contea, sbaragliando gli avversari a colpi di sterzo e pedali. È proprio qui, nel corso di uno di questi pericolosi rendez-vous, che succede l’irreparabile: muore un amico, il colpevole fugge e Tobey resta a prima a raccogliere i cocci, poi a scontare una pena ingiusta. Uscito di prigione, organizza la vendetta che si consumerà, manco a dirlo, sull’asfalto.
«Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.»
Il volante, nuova lancia del duello cavalleresco, è lo strumento che gli uomini valorosi impugnano per battersi; a muoverli sono questioni di principio e d’onore, ancor prima che ragioni sentimentali. Se la legge del testosterone governa la sceneggiatura, i muscoli non sono affatto il problema principale della messa in scena: scordatevi Fast and Furious, Vin Diesel e i neon montati sotto le carrozzerie. Need for Speed conta su una regia più asciutta, sui riferimenti ai grandi film automobilistici degli anni Settanta, sullo Steve McQueen di Bullit e La grande fuga come nume tutelare.
La computer grafica, intanto, ha ceduto il passo alle riprese dal vero: sotto la supervisione di piloti e stuntmen, il cast ha imparato a sgommare, accelerare e frenare per davvero, regalando allo spettatore la piacevole sensazione di non trovarsi davanti a scene girate in un teatro di posa ma sulla sporca arena d’asfalto delle infinite strade d’America.
«Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.»
Aaron Paul, del resto, alla temerità ci aveva già abituati vestendo i panni di Jesse Pinkman in Breaking Bad: l’azione prima del pensiero, l’avventatezza che rasenta l’incoscienza funzionano anche sul grande schermo. E se motivazioni muscolose condite da una messa in scena sapida e onesta non bastano a soddisfarvi, godetevi lo spettacolo del viaggio attraverso gli States, uno strepitoso coast to coast che da New York vi porterà in 130 minuti a San Francisco attraverso pianure e canyon, metropoli e altopiani fino alla Avenue of the Giants e alla splendida Highway 1, la strada costiera che attraversa l’intera California da cima a fondo.
Per questa summa di sconfinati paesaggi americani vale la pena, sul serio, di allacciarsi le cinture e restare inchiodati al sedile dell’auto… o alla poltrona del cinema.
Per Tobey Marshall, un onesto meccanico che gestisce l’officina di famiglia e partecipa alle corse clandestine con gli amici nei weekend, la vita scorre felice. Ma il suo universo va in mille pezzi quando viene incastrato per un crimine che non ha commesso e finisce in prigione. Così, passa i due anni successivi con in mente una sola cosa: la vendetta. Mentre mette in discussione tutto quello in cui ha sempre creduto, è determinato a distruggere i suoi nemici... costi quel che costi.