Nell’introduzione al romanzo scritto con il regista Edoardo De Angelis partendo dalla loro sceneggiatura di Comandante, Sandro Veronesi racconta che l’ispirazione per la sceneggiatura del film risale all’estate del 2018, in un periodo di recrudescenze xenofobe originate dal crescente numero degli sbarchi dei migranti in fuga dai campi di detenzione in Libia e alla ricerca di un approdo sulle coste siculo-calabresi. Fu in quell’occasione che, grazie a un articolo di «Avvenire» in cui erano riportate le dichiarazioni dell’allora Comandante (oggi Ammiraglio) della Guardia Costiera Giovanni Pettorino, i due vennero a conoscenza della vicenda del Comandante della Regia Marina Salvatore Todaro, il quale, durante il secondo conflitto mondiale, trasse in salvo alcuni componenti dell’equipaggio del piroscafo belga Kabalo, in precedenza affondato dai cannoni del sommergibile Comandante Cappellini ai suoi ordini, disattendendo agli ordini dei diretti superiori e alle barbare leggi belliche in nome di un superiore ideale di solidarietà.
Salpato il 28 settembre 1940 e destinato a una base navale nella Francia occupata, il Comandante Cappellini, sotto la guida di Todaro, superò lo Stretto di Gibilterra minacciato dal giogo dei bombardamenti di superficie e, giunto al largo dell’arcipelago di Madera, finì sotto il tiro del Kabalo, che trasportava arsenale bellico britannico (al momento ufficialmente neutrale, il Belgio sarebbe formalmente sceso in guerra una settimana dopo gli eventi). Dopo aver cannoneggiato il piroscafo nemico, Todaro decise dapprima di scortare i sopravvissuti riuniti su una lancia di salvataggio fino all’isola di Santa Maria e poi, dopo il naufragio della fragile imbarcazione, li accolse addirittura a bordo del sommergibile.
Costato 14 milioni di euro (circa un decimo di Oppenheimer, ma quasi una megaproduzione nel contesto italiano), Comandante è un film scisso tra diverse anime: quella epico-storica che rievoca fatti realmente accaduti o quella contemporanea che lega la vicenda alle ben più recenti tragedie di profughi e migranti, quella “industriale” del kolossal bellico-avventuroso non immemore del grande magistero di Francesco De Robertis o quella autoriale che – come poi farà anche la novelization – frantuma il racconto da diversi punti di vista, innestando uno spesso improbabile flusso di pensieri che raccoglie le confessioni, tra gli altri, di personaggi come Rita (Silvia D’Amico), la moglie incinta di una bambina che Todaro (Pierfrancesco Favino) non rivedrà mai, o del marinaio motorista Stumpo (Arturo Muselli), il cui sacrificio (in una sequenza sospesa tra tensione documentaria e squarci di realismo magico) permetterà al sommergibile di disancagliarsi e riprendere il viaggio.
Promotore di una mistica militare fondata sui concetti di devozione, disciplina, gerarchia e fratellanza, a volte circonfuso in un minaccioso alone sacrale (porta con sé un foglietto in cui sono stati trascritti alcuni versi dell’Iliade che per lui sono una specie di mantra oracolare), figura contemporaneamente punitiva e paterna (accarezza il volto del tenente triestino Stiepovich quando quest’ultimo è in punto di morte), martoriata nel corpo dopo un incidente di volo che lo costringe a indossare un busto d’acciaio, Todaro incarna tutte le contraddizioni in cui si muove il film, incerto tra soprassalti eroici da war movie e sospensione lirica nel tempo immobile della navigazione, ricostruzione storica e voluti anacronismi (le musiche di Morricone), incomprensioni ed espiazioni, brutalità e distensione (la scena in cui il capitano e il sottufficiale del Kabalo insegnano al cambusiere napoletano Gigino come si cucinano le patatine fritte).
Un’opera discontinua e irrisolta, nobile e superficiale, ambiziosa ed enfatica, che cerca nei valori produttivi (con la fotografia di Ferran Paredes Rubio che guarda marcatamente alla lezione di Daniele Ciprì e di Vincere) la via nuova per un cinema italiano high-concept (con tanto di inevitabile melting pot dialettale) capace di costruire un dialogo tra la Storia e il presente sotto il segno di un umanesimo laico e progressista non sempre esente da infiltrazioni retoriche.
All’inizio della Seconda guerra mondiale Salvatore Todaro comanda il sommergibile Cappellini della Regia Marina. Nell’ottobre del 1940, mentre naviga in Atlantico, nel buio della notte viene attaccato da un mercantile belga. Nella breve ma violenta battaglia Todaro affonda il mercantile a colpi di cannone. Ed è a questo punto che, seguendo la legge del mare e contravvenendo agli ordini del suo comando, decide di salvare i naufraghi belgi condannati ad affogare in mezzo all’oceano.