“Ho dedicato gli ultimi anni della mia carriera da regista a riflettere sulla mascolinità e le sue gabbie, su cosa significhi essere un uomo e amare nella società brasiliana di oggi, profondamente conservatrice e patriarcale. Le domande che mi sono posto e tuttora mi pongo sono: come amiamo noi uomini? Come possiamo esprimere le nostre emozioni senza ferire il prossimo? Come aprirci alle nostre fragilità e sentimenti, se ci insegnano tutto il tempo a essere freddi e forti?”, scrive nel pressbook Aly Muritiba, il regista di Deserto particular, suo terzo lungometraggio dopo corti e documentari che hanno girato i festival internazionali, presentato nel 2021 alle Giornate degli Autori.
Un film che ha uno strano incipit, anzi ne ha due. Il primo è costituito da una sequenza in cui il protagonista, Daniel, un poliziotto sospeso dal servizio per aver ridotto in fin di vita una recluta e in attesa, per questo, di processo, corre in campo medio per la città (vive a Curitiba, nel Sud freddo e conservatore del Brasile), circondato dalle luci della notte, parlando a Sara, la donna di cui è innamorato ma che non ha mai visto, ricordandole un loro discorso sulla solitudine (“sentirsi soli al mondo”) e dicendole che ha finalmente capito quanto lei gli manchi. Il secondo comprende tutta la prima mezz’ora dell’opera, che da quest’inizio delinea la vita quotidiana di Daniel, che accudisce il padre anziano, ex-militare, disorientato ma forse più lucido di quanto non sembri, insieme alla sorella, e che cerca, in quel momento di stallo, di lavorare (anche come buttafuori) perché non ce la fa a stare fermo, abituato com’è all’azione. A eseguire gli ordini e ad agire. Il problema è che Sara, in quei giorni, smette di scrivergli e allora lui decide, di punto in bianco, mettendo a rischio il processo imminente anche perché in questo modo non si sottopone, come dovrebbe, alla perizia psichiatrica, di partire per il Nord (Sobradinho, vicino a Bahia) per andare a cercarla. E qui compare il titolo, e qui, con questo scarto (di luoghi, di situazioni, di prospettive) comincia il film. Che ha l’aspetto di un road movie ma è un dramma sentimentale, un mélo fassbinderiano, che da Daniel e dal suo viaggio passa a Sara, la donna “scomparsa”, innestando la marcia di un thriller per approdare alla misura di un film politico e sociale, che racconta il Brasile di Bolsonaro in due luoghi diversi, uno più chiuso (il Sud) l’altro più aperto (il Nord Est), affrontando in particolare il tema dell’omosessualità (il Brasile è il paese in cui ci sono più omicidi di omosessuali al mondo e in cui la Chiesa pentecostale, come si vede nel film, punta a “riorientare” le persone “devianti”).
L’elemento più interessante del film, oltre ai continui scarti di cui sopra, che hanno la loro logica e il loro senso e sono sostenuti da una sceneggiatura forte (del regista con Henrique Dos Santo), è comunque la delineazione dei personaggi. Sia Daniel che Sara, interpretati splendidamente da Antonio Saboia e Pedro Fasanaro, hanno la loro coerenza e dignità e sono mostrati anche nel vivere quotidiano, Daniel, lo abbiamo detto, con il padre e Sara con la nonna. Sono persone affettuose, che si prendono cura dei familiari, e Daniel soprattutto, che ha interiorizzato il conservatorismo paterno, nel momento in cui capisce chi è davvero Sara, dopo un primo momento di rifiuto, e di rabbia, e di allontanamento, riesce in qualche modo ad accettarla e a mettersi in discussione, arrivando a guardarsi dentro, nel profondo. “Quello che vorrei suggerire è che è possibile aprirsi all’altro, se lo si ascolta e lo si guarda in faccia”, ha dichiarato il regista; ed è questo ciò che avviene al suo personaggio, anzi ai suoi personaggi: guardare l’altro per guardare veramente a se stessi, in se stessi. Questo vale appunto, soprattutto, per Daniel perché da questo punto di vista Sara, anche se è giovane, ha le idee abbastanza chiare e ha maturato una serenità, data dall’accettazione di ciò che è (lei, la vita, il mondo), che Daniel ancora non ha ma che forse acquisirà, alla fine del suo viaggio.
E a proposito del viaggio, quello fisico: paesaggi aperti, desertici (il deserto del titolo che è poi la solitudine personale, nel senso che ogni personaggio vive la propria), la scena che si apre e la luce che entra in un film che nella prima parte è cupo, opprimente, buio. Locali notturni, musica techno, violenza sottesa a un mondo chiuso su se stesso che solo l’amore, anzi il desiderio, e la solidarietà tra le persone può svelare. Il gesso che Daniel porta al braccio per tutta l’opera ne è l’emblema: dice che lo toglierà quando tornerà a casa ma alla fine è lui che lo rompe con forza, nel deserto, ed è lì che si materializza l’idea di quello che non è stato, che non è; ma che potrebbe essere.
Un poliziotto solitario (che è stato sospeso dal servizio per un'aggressione violenta ad una recluta) si innamora di una donna conosciuta su Internet. Un giorno lei scompare e non si fa più viva. Lui decide di cercarla a Bahia.