Ci si poteva aspettare qualcosa di più, da Abrantes e Schmidt, che sul corto e medio metraggio hanno per anni dato prova di un grande talento, il primo soprattutto, riuscendo a fare del sovvertimento surreale delle regole del racconto un grimaldello critico, spesso puntato verso artisti e opere di grande valore iconico.
Le icone, appunto: anche un analfabeta calcistico riconosce, al minuto due, che sotto le mentite spoglie del calciatore di fantasia che dà il titolo a questo nuovo film, che alla Semaine de la critique di Cannes lo scorso maggio ha scaldato moltissimo i cuori dei cinefili e vinto i premi maggiori, si nasconde una caricatura di Cristiano Ronaldo o, vorrebbero lasciare intendere gli autori, il ritratto di un’icona planetaria e metrosexual che in fondo così caricaturale non è. E d’altronde, in qualche misura, le idee di partenza, fatta la tara a questo eccesso di fedeltà un po’ urlato nell’adesione al modello reale, sono a tratti divertenti: il fatto che “la visione del gioco” di un goleador di fama planetaria, nella sua soggettività, sia tutt’altro che razionale, ma dettata da una visionarietà tra il magico infantile e lo psicotico, che lo lascia in campo, da solo, con dei pechinesi giganti e morbidosi che gli intralciano il passo ma gli indicano la via, è un’immagine che suscita un’ilarità genuina e assolutamente liberatoria.
L’ingranaggio s’ingrippa quando nella testa del calciatore la magia dei pechinesi sembra spegnersi, un rigore sbagliato fa vacillare le certezze di Diamantino e cedere il cuore di suo padre, e la fiaba demenziale sembra strizzare un po’ troppo vistosamente l’occhio alla psicanalisi.
Cambia passo più volte, il film di Abrantes e Schmidt, da questo momento in poi, muta e vacilla, come muta e si inceppa il suo protagonista, proprio mentre un governo portoghese di stampo nazionalfascista vorrebbe clonarlo per eternare i geni del nuovo eroe lusitano, un agente del fisco gli si infila in casa sotto mentite spoglie come nemmeno in una commedia di Plauto e due sorelle crudeli e cretine trasferiscono miliardi off-shore a sua insaputa, mentre lui gioca alla playstation e comincia a sentire che anche il proprio corpo sta cambiando.
Muta la struttura, muta il passo, perché vorrebbe cantare la metamorfosi, la fluidità queer come unico strumento di sopravvivenza alla crisi della contemporaneità. Ma l’ha già fatto qualcun altro, neanche troppo tempo fa, forse con un po’ di coerenza in più.
Diamantino è un campione di calcio di fama mondiale. È un Cristiano Ronaldo, un piede d’oro, un inarrestabile genio del pallone. Finché, un brutto giorno, tutto il genio sparisce irrimediabilmente nel nulla. Attraverso le bizzarre vicende del suo protagonista, tra visioni mistiche, barboncini giganti e figure pastello superkitsch, Diamantino si veste da commedia stravagante per giocare con intelligenza con i conflitti della contemporaneità: dal culto delle celebrità all’ascesa dei deliranti pensieri antieuropeisti e dei populismi xenofobi.