Mentre in Italia viene per la prima volta distribuito un suo film, Hong Sang-soo nel 2013 è già stato in concorso ad altri due festival: Berlino lo scorso febbraio, Locarno pochi giorni fa. La sola spiegazione è che i suoi film li scriva e li giri come li scrivono e li girano i suoi personaggi, da un po’ di tempo cineasti e cineaste pure loro: cazzeggiando, bevendo, fantasticando su altri mondi e altre vite possibilmente non troppo diverse dall’unica che possiedono. Non è che siano in blocco creativo, Hong Sangsoo e i suoi personaggi, semplicemente – ipotizziamo – si annoiano, fanno gli artisti perché non saprebbero cos’altro, e non hanno nemmeno più l’onore dell’avanguardia per il loro straniamento.
Cosa ci sia di interessante nel raccontare, ogni volta, di gente di cinema che parla di cinema, che scrive film, che frequenta festival, che beve, mangia e litiga, è un mistero: ma a volte, non sempre, funziona. Lo stile, per di più, è così fluido e trasparente da sembrare pure lui annoiato e ozioso, una veglia troppo pigra per diventare sonno. Perché poi lo sbocco è sempre quello: ogni storia è un sogno, e ogni sogno illogico e piatto come cinema al grado zero.
Anche In Another Country, che è la storia di una sceneggiatrice che scrive storie per raccontare se stessa. L’effetto è ovviamente una finzione che ricalca se stessa, con la Huppert che rivive più o meno le stesse situazioni, visita più o meno gli stessi luoghi, incontra più o meno le stesse persone, capisce poco o nulla, da attrice francese ospite in Corea, di ciò che le sta attorno.
Stavolta che le cose funzionano, però, la luce ricorda il Rohmer del Raggio verde, la trasandatezza lo Iosseliani di Addio terraferma, e in più Hong Sangsoo ci aggiunge la trovata della distanza linguistica, dello sfasamento spaziale, che trasforma il perenne torpore dei suoi personaggi in una specie di condizione inevitabile, in una solitudine che se non fosse per l’ironia e l’autoindulgenza farebbe un po’ paura. Per fortuna che è solo cinema, e prima o poi tutto finisce, salvo ricominciare la volta successiva in maniera sempre diversa e sempre uguale.
Una giovane studentessa di cinema e la madre giungono nella piccola Mohang (Corea), in riva al mare. La ragazza, un po’ annoiata dal quel luogo isolato e lontano, comincia a fantasticare e a inventarsi, scrivendole, delle storie che prenderanno la forma di una bizzarra e vivace sceneggiatura.