Enzo Avitabile music life è un film che ti porta via e ti tiene lì (con sé).
Ti rapisce il suo sfuggire all’incasellamento di genere: forse è un documentario, forse è una biografia, forse è un concerto... certo è cinema che si occupa di musica.
Ti rapisce il modo in cui segue il peregrinare del personaggio nell'universo musicale in cui vive, restituendo il suo talento straordinario, rendendo omaggio alla sua arte e al suo tempo.
Ti rapisce lo sguardo con cui si svela la magia di una passione assoluta, totalizzante, quasi cannibalica (per restare dalle parti di Demme) perché si è mangiata la vita intera di quell'ometto bizzarro e geniale sul quale lo sguardo stesso si è posato. Uno sguardo che attraversa sgabuzzini angusti pieni di suoni, ma anche cortili e sottoscala fatiscenti, dove sono le voci del passato a risuonare, e ancora luoghi sacri in cui è il marmo a riverberare le note e teatri dove invece è il legno a dare calore alla musica.
Uno sguardo lanciato da Jonathan Demme con grande curiosità e amore (lo aveva già fatto, come nessuno, con “lo zio” Neil Young) su un prodigio che gli si è svelato quasi per caso, e si vede, si sente. Si sentono lo stupore, la meraviglia, l’ammirazione che hanno guidato il regista in questo viaggio nella vita di quell’Enzo Avitabile la cui musica aveva scoperto alla radio mentre guidava sul George Washington Bridge a New York; stupore, meraviglia, ammirazione, le stesse da cui viene contagiato lo spettatore.
Dal sax che accompagnava James Brown negli anni ‘70 alle jam session di oggi, ma anche i duetti, i sintetizzatori, le 300 opere composte e mai eseguite, mai sentite, un fiume in cui perdersi in casa mentre gli occhi se ne stavano andando prima del trapianto, doppio, di cornee, e ancora gli strumenti di tutti i tipi, lo studio, l’istinto, la famiglia, il quartiere...
Enzo Avitabile music life è anche un film sul linguaggio e sulla conoscenza, quella delle radici del proprio personale modo di esprimersi, ma allo stesso tempo quella della potenzialità comunicativa universale che è solo della musica. Lungo il tragitto - del film, del racconto, della vita del protagonista - emerge come la differenza tra musica pensata (quel pensiero-musica di cui parla lo stesso Avitabile) e musica eseguita finisca per annullarsi, nello stesso pasto. Seduti alla stessa mensa, in cerchio, le gambe delle sedie accolte da una serie di tappeti affiancati, tutti diversi, tutti vicini, ognuno dei musicisti eccellenti invitati “a cena” da Enzo si esprime al meglio con il proprio strumento, con il proprio talento, con la propria diversità. Ognuno è lì a cucinare un discorso in musica unico, potente come nessuna parola potrebbe essere. La tavola è imbandita… e Falanghina per tutti.
La vita e la musica di Enzo Avitabile indagate dall'occhio curioso di Jonathan Demme.