L’attore Sharito Copley, l’ex militare mutante di District 9, sembra davvero Robert De Niro giovane, con il suo ghigno permanente e l’imprevedibilità molesta di Hi Mom di Brian De Palma o Mean Streets. Ora, in Elysium è una specie di mercenario crudele, sadico e (quasi) indistruttibile al servizio di Jodie Foster, la ministra degli interni del satellite esclusivo Elysium, la quale non smette mai la sua smorfia antipatica, per ricordarci che è cattiva, dal principio alla fine, per lei inevitabile.
Ma se District 9, l’opera prima molto promettente e splatter del regista sceneggiatore sudafricano/canadese Neill Blomkamp, patrocinata non a caso da Peter Jackson, era una sorta di film alla De Palma prima maniera (un po’ Greetings, un po’ – appunto – Hi, Mom), ibridato con gli orrori, il martirio e la de/rigenerazione della carne alla David Cronenberg, specialmente sulla falsariga di La mosca, questo nuovo Elysium, definitivamente hollywoodiano, è una parabola buonista che parte da premesse di fantascienza distopica, per giungere a un lieto fine ecumenico, messianico e annunciato, che ne contraddice il pessimismo inaugurale. E rende il ricorso alla bassa macelleria, così efficace nell’operazione indipendente di District 9, un tentativo di tenere il piede in due staffe.
In fondo a Blomkamp sta succedendo, in tema di mutazioni e ibridazioni, quello che puntualmente accade a ogni giovane autore di talento risucchiato dall’industria cinematografica statunitense, che presto lo insedierà con ogni probabilità alla testa di qualche film sui supereroi. Le premesse in fondo ci sono tutte, con Matt Damon che, sulla falsariga dell’ex Jason Bourne, procede dentro un’armatura metallica, simile a un’unità esterna di un sistema operativo: insomma, un hard disk umano vittima di radiazioni mortali, che porta dentro il proprio cervello i dati per un colpo di stato che dovrebbe far cambiare le regole e la leadership nel satellite Elysium, dove si sono rifugiati gli straricchi, lasciando la Terra a marcire, come un gigantesco lager o un’immensa bidonville.
L’idea di trasformare un soggetto fantascientifico in analisi del mondo contemporaneo cede il passo all’azione, sporca, violenta, e nel contempo al racconto, troppo edificante, perdendo di vista la capacità di costruire un buon compromesso tra le ragioni del mercato e quelle dell’arte o della denuncia sociologica, rivisitando e mescolando ancora plot noti. Questa volta 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, 1997: fuga da New York di John Carpenter, Robocop di Paul Verhoeven, Gattaca e in particolare In Time di Andrew Niccol.
Nell'anno 2154, l’umanità vivrà divisa in due classi: i benestanti cui sarà riservata un’incontaminata stazione spaziale orbitante chiamata Elysium, e il resto della popolazione costretto a spartirsi un pianeta Terra sempre più sovrappopolato e inospitale. La maggior parte dei terrestri, in preda a povertà e disperazione, sogna di poter vivere su Elysium, purtroppo per loro, però, la stazione orbitante è regolata da severissime leggi anti-immigrazione atte a preservare l’agiatezza e l’alto tenore di vita dei propri abitanti. Max (Matt Damon) è un abitante della terra che ha un disperato bisogno di raggiungere Elysium e che, senza nulla da perdere, mette in campo tutte le proprie abilità per riuscire nel suo scopo, mentre il segretario di Elysium, Delacourt (Jodie Foster), impiega ogni mezzo per fermarlo.