Il ritorno al grande schermo di Gianluca Maria Tavarelli – impegnato in questi anni in diversi progetti televisivi – delude purtroppo ogni aspettativa con un malriuscito e pretenzioso apologo sulle conseguenze interiori ed esteriori della guerra su militari e civili.
Ambientato in Iraq, Una storia sbagliata segue Stefania, volontaria di un'associazione impegnata in prima linea nella cura di bambini affetti da labbro leporino, oggetto di discriminazione sociale oltre che fonte di rischi per la salute delle persone. Presto però risulta chiaro che il vero intento della ragazza non sia umanitario ma personale: vuole infatti rintracciare la famiglia del kamikaze il cui attentato ha provocato numerose vittime, anche italiane. Accompagnata da un interprete del luogo, Stefania inizia così il suo viaggio tra macerie fisiche e spirituali, le cui ragioni sono a monte e vengono svelate un po' alla volta attraverso numerosi flashback che ricostruiscono la sua relazione con il marito, militare e vittima di depressione post-bellica.
Se l'intento dell'autore era di compiere un'indagine-denuncia sulla realtà irachena, il risultato non può che dirsi fallimentare, mancando di una solida base di studi e ricerche oltre le informazioni reperibili ormai facilmente da giornali e altri media. Si preferisce allora considerare l'opera un tentativo al passo con le produzioni internazionali di coniugare il linguaggio televisivo con quello cinematografico. Ma il regista più che cercare di avvicinare le due forme narrative, traspone semplicemente la prima nella seconda, mantenendo inalterati i tratti peculiari del film-tv italiano: attori di bella presenza, trama lacrimevole e retorica, recitazione monotono su dialoghi poco pregnanti. Una sorta di fotoromanzo dei tempi odierni con tutti gli stereotipi del caso (il soldato al fronte, la moglie infermiera, il nativo buono ma opportunista e facilmente corrompibile, ecc.). L'approccio inappropriato rende la pellicola uno sterile feuilleton da prima serata, privo di particolari intuizioni. Anche sul piano tecnico, le poche idee originali diventano presto accorgimenti di maniera, come la continua interruzione del racconto inframmezzato dai ricordi della protagonista o i frequenti rumori di guerra a coprire il parlato.
Direbbe Fabrizio De Andrè: “È una storia da dimenticare/ è una storia da non raccontare/ è una storia un po' complicata/ è una storia sbagliata”.
Una donna da sola si mette in viaggio. Si unisce ad una missione umanitaria e si reca in Iraq durante la seconda guerra del Golfo. Qui scopre un mondo e una realtà ben diversa da quella che immaginava e di cui aveva sentito parlare. Qui riesce a scoprire le ragioni che stavano incrinando il suo amore. Mettendosi in viaggio si apre al mondo e vede.