Sono passati sei anni dall’incredibile successo di Frozen – Il regno di ghiaccio. In questo lasso di tempo, la Disney ha innescato e consolidato un cambio di rotta autoriale sotto la guida creativa di Jennifer Lee. Frozen II – Il segreto di Arendelle arriva quindi dopo un’attesa importante e si porta con sé un carico di aspettative più che elevato dato il successo di pubblico che aveva reso il primo il film d’animazione più remunerativo di sempre.
Lavorare a un sequel sulle avventure delle sorelle Anna ed Elsa, quindi, significa principalmente voler sfruttare un fenomeno commerciale difficilmente fallimentare ma Frozen 2 non si accontenta di essere un mero investimento industriale, ha invece qualcosa di ben preciso da comunicare soprattutto relativamente al rilancio Disney dell'ultima era. Film come Big Hero 6 (2014), Zootropolis (2016), Ralph Spaccatutto (2012) e Ralph spacca Internet (2018) sono spie della nuova tendenza fatta di lavori drammaturgicamente più complessi, intenti a raccontare spaccati della società odierna e privi di canzoni in stile musical. Anche il più “classico” dei titoli recenti, Oceania (2016), seppur diretto da Ron Clements e John Musker, provava d'altronde a distaccarsi dallo stile anni Novanta per esplorare nuovi orizzonti.
Frozen 2 segue le esigenze del mercato (ma non del marketing) riproponendo tali e quali i personaggi che hanno trovato consenso nel film originale (Olaf si riconferma una spalla comica perfetta) e senza rinunciare a un sin troppo invadente apparato canoro. Eppure non si limita solamente a confermare quanto di buono già c'era, ma funziona come trampolino di lancio per un’industria titanica in fase di rinnovamento. Il fenomeno Star Wars, l’ascesa sempre maggiore dei film Marvel e l’imminente piattaforma di streaming online sono tutti satelliti di un unico pianeta dalle orecchie tonde e nere. In anni di continuo e frenetico cambiamento, il cinema d’animazione Disney sente l’esigenza di far luce sulla propria identità (i classici di nonno Walt) senza però volersi privare delle frontiere che le si prospettano dinanzi. Nella celebre Let It Go, Elsa cantava “I’m never going back. The past is in the past” mentre oggi - attratta da una voce misteriosa che la richiama a sé in maniera ossessiva - sente il bisogno di confrontarsi con quel passato, scardinarne la pesante autorità e dare così un rinnovato senso al presente. La stessa missione che la Disney, con il nuovo ciclo di film e autori, sta provando a condurre negli anni più recenti grazie a storie più mature, che richiedono uno sforzo maggiore da parte di un pubblico che sta crescendo. Frozen 2 si rivolge agli stessi bambini che sei anni fa invasero le sale. Oggi però quei bimbi sono diventati ragazzi pronti a recepire una trama più complessa, cupa e stratificata.
L’acqua ha memoria, si dice a più riprese nel film. Ma se Elsa - leggi la Disney - deve imparare a fare i conti con il suo passato, allora l'operazione Frozen 2 ha senso proprio come testimone di un’industria che pur salvaguardando la propria memoria cerca virare altrove. Così, tanto Elsa è indecisa se seguire o meno la voce incalzante, quanto la Disney ha titubato nel realizzare questo secondo capitolo. Entrambe si sono poi decise ad avventurarsi, solo dopo aver compreso, insomma, che i tempi sono maturi per addentrarsi Into the Unknown.
Elsa e la sorella Anna si imbarcano in una avventura in compagnia di Kristoff, Olaf e Sven per difendere il regno di Arendelle e scoprire in una lontana foresta un segreto che li riguarda molto da vicino.