Fuori era primavera appartiene al gruppo già abbastanza nutrito di film girati durante il lockdown della primavera scorsa (insieme al progettivo collettivo Homemade, a Molecole di Andrea Segre, Dissipatio di Filippo Ticozzi, (R)esisti di Davide Bongiovanni), a testimonianza di un’ansia condivisa da molti, cineasti e non, di attestare il passaggio del tempo e la sua esperienza attraverso la ripresa video.
Salvatores ha raccolto video amatoriali realizzati tra il 24 marzo e il 30 maggio 2020, montati liberamente per costruire, non tato il mosaico degli italiani in tempo di pandemia, quanto l’autoritratto di uomini, donne, bambini e anziani vittime più che altro del loro narcisismo. Per il regista il progetto è da recidivi, poiché una formula analoga era già stata sperimentata nel 2014 da Italy in a Day - Un giorno da italiani, anche in quel caso realizzato con video inviati da centinaia di persone dalla ripresa facile, all’alba della presunta rivoluzione dell’uno-vale-uno e come segnale di una presunta democratizzazione del cinema, con il popolo chiamato a produrre il materiale grezzo e il regista-demiurgo a dargli una struttura.
All'epoca come oggi, anche lo spettatore più distratto si accorge che sullo schermo non appare la vita quotidiana degli italiani brava gente, ma il riflesso e il desiderio di ciò il Paese vorrebbe essere. Pura fiction, insomma, che cade vittima di una duplice malafede, sia da parte degli autori materiali dei video, sia da parte del regista-curatore: nessuno crede che i video raccolti (di medici e infermieri in reparto COVID, di famiglie chiuse in casa, di fattorini in bicicletta, di bambini e insegnanti impegnati nella didattica a distanza, di gente che si arrampica sui tetti per mandare baci alla fidanzata manco fosse sotto le bombe o di altra gente ancora fuggita su un’isola in barba ai divieti sugli spostamenti) siano autentici, nemmeno i protagonisti autori e attori; se possibile, però, la messinscena elementare di questa finzione di un popolo è ancora più fasulla della sua artificiosa trasparenza, perché mette a nudo una autoindulgenza vittimista in grado solo di autoassolversi e incapace di raccontare alcunché.
Gli italiani di Salvatores rinunciano a qualsiasi forma di comunicazione che non si esaurisca nello specchiamento tra lo smartphone e il soggetto ripreso; nemmeno i bambini sanno più guardare, ma anzi non fanno altro che mettersi in mostra e farsi guardare. Fuori era primavera asseconda la mania di esibizionismo di chi ama filmarsi e mostrarsi (gli altri, va da sé, non esistono) e nel discorso costruito come una sinfonia nazional-popolare li solleva da ogni assunzione di responsabilità, raccontandoli come vittime resilienti di una forza oscura, innocenti assediati, buoni dalla parte giusta della Storia, contro la natura e mai contro sé stessi.
In fondo oggi chiunque può essere un regista, se usa una go-pro o un drone. E paradossalmente proprio un'opera senza autore com Fuori era primavera può essere considerata una forma di cinema autentico, celebrazione dell’ansia da protagonismo di chi filma qualsiasi cosa così come blatera di tutto e accetta tutto da sé stessi, tranne il silenzio e il buio.
Un racconto degli italiani in lockdown. Dalle piazze vuote, ai medici ed infermieri “in prima linea” nelle corsie degli ospedali, ai balconi con la gente che canta, alle riprese domestiche. Una testimonianza collettiva costruita con i video realizzati da decine di italiani e italiane, tra la metà di marzo e la fine di maggio del 2020.