Che il cinema documentario sia al centro di una fase creativa innovativa e fervente è ormai risaputo e sotto gli occhi di tutti. Che il cinema di Jim Jarmusch possegga da sempre le medesime qualità è altrettanto chiaro. Così, quando il primo incrocia la strada del secondo (anche se sarebbe più corretto invertire gli addendi), il risultato non può che essere notevole e affascinante.
Autore nel 2016 di Paterson, film di finzione che racconta la monotonia di una vita anonima e quieta, Jarmusch ha bissato l’appuntamento allo scorso Festival di Cannes con un documentario incentrato su una figura totalmente opposta quale quella di James Newell Osterberg Jr., in arte Iggy Pop, vero e proprio mattatore del rock da sempre simbolo di un’esistenza condotta ai limiti dell’eccesso.
Senza voler forzare il parallelismo nato da questa associazione di idee, Gimme Danger è un film folle e privo di freni pur presentandosi nella cornice più canonica e usuale del cinema del reale, quella televisiva. Interviste, fotografie, video di repertorio, cimeli, didascalie, sono questi gli elementi di corredo che Jarmusch porta a sostegno del suo lavoro. Eppure la forza esplosiva di una personalità sopra le righe (prima ancora che di una carriera musicale specchio di un simile carattere) emerge a trecentosessanta gradi attraverso l’arte con cui da sempre Iggy e i suoi The Stooges hanno a che fare: la musica. Non solo si ascoltano molti brani in Gimme Danger, ma si respira proprio un certo ambiente produttivo che Jarmusch lascia trasparire grazie ai ricordi di coloro che lo hanno vissuto da protagonisti.
Sembra proprio essere la memoria la musa ispiratrice del film, la voglia di ricordare e di tramandare. Un divo è un personaggio quasi mitologico, lontano e distante dal suo pubblico, ricco di segreti e curiosità che tutti vorrebbero conoscere e di cui solo lui è garante. Così, Iggy avrebbe potuto raccontarsi in modi più furbi e celebrativi, invece si lascia semplicemente cullare dai ricordi, ripercorrendo le tappe di un cammino professionale significativo e tramandando il tutto in maniera semplice e genuina. Jarmusch però stenta a trattenersi e spesso riconduce il discorso alla materia che più gli appartiene, ovvero il cinema.
Tra estratti di pellicole e aneddoti hollywoodiani, Gimme Danger si presenta quindi come una piccola (seppur significativa) celebrazione dell’arte in tutte le sue forme ed espressioni. Esattamente come accadeva in Paterson. E allora, forse, ha senso forzare un po’ il parallelismo tra i due titoli.
Un documentario sui The Stooges, dalla loro comparsa alla loro eredità