Gli asteroidi è un film pieno, pienissimo, così carico da soccombere sotto il suo stesso peso.
Al centro di tutto, la rappresentazione delle nuove generazioni, cresciute a suon di “tu avrai più” e “tu puoi tutto”, ma i cui sogni di gloria e di felicità restano poi ingabbiati in una realtà di crisi, di disoccupazione, di capannoni dismessi e noia. Ivan, Piero e Fabio (detto Cosmic) vengono da famiglie che arrancano, che faticano a sbarcare il lunario, con conseguenze più o meno gravi, dalla dipendenza da “bianchino” e slot machine, al suicidio. Sono ragazzi i cui genitori hanno altro a cui pensare, troppo a cui pensare, e che, necessitando di una guida, finiscono per fare affidamento sulla persona più sbagliata, Ugo (Pippo Delbono), entrando in un mondo di microcriminalità, fatto di furti in chiesa e di spaccio. Sono ragazzi che cercano una via – anche di fuga, dalla provincia asfittica – ma che non hanno gli strumenti per trovarla.
Non un tema nuovo, dunque, trattato attraverso una serie di elementi che sembrano nascere da un sentimento di horror vacui, dalla volontà di colpire e dare al pubblico ciò che chiede: lo spaccio di droga – con tanto di lite al bagno col cliente che deve solo fare pipì -, il sesso disinteressato (e inutile ai fini narrativi) il delitto, duplice, ma di cui sembra che nessuno senta il minimo peso.
Nel tentativo di barcamenare Ivan e Piero tra l'età adulta da gangster e una giovinezza fatta di corse coi go cart, si finisce per demolirne la coscienza, rendendoli personaggi inconsapevoli, vaghi, poco autoanalitici, anche di fronte alla morte. A Cosmic, invece, il ruolo di grillo parlante e, con i suoi discorsi deliranti sugli asteroidi e la fine del mondo: «Hanno estinto i dinosauri, adesso tocca a noi», dirà più volte, lasciando intendere allo spettatore l'arrivo di una catastrofe che effettivamente giungerà. E che poi il finale in qualche modo risolverà .
Attorno a tutto questo, citazioni da Kant, Antonioni, John Ford e, ancora, musiche drammatiche, ricordi di disgrazie infantili come la caduta di un bambino dal balcone. E resta invece sospesa quella frase di apertura, che implica una forte coscienza di sé: «Diventiamo quello che pensiamo». Ivan, Piero e Fabio, sono davvero diventati ciò che pensavano?
Il mondo del diciannovenne Pietro e del suo amico Ivan gravita intorno alla provincia industriale sconfinata e alienante. I due vagano attraverso una pianura fatta di fabbriche chiuse, poche speranze e piccoli espedienti, finché l'asteroide che minaccia di distruggere la terra finisce per rivoluzionare il loro spazio vitale.