C'era una volta il videoclip, Michel Gondry era il suo profeta: gli bastavano tre minuti di Björk o quattro di Chemical Brothers per conquistare i cuori di milioni di musicofili e cinefili sparsi ovunque in giro per il mondo.
Sequenze di immagini ritmicamente giustapposte che arrivavano dappertutto, anzi no: alcuni (pochi ma buoni: i Cahiers) non hanno mai fatto mistero di detestarlo cordialmente, questo eterno ragazzo col naso affilato e la valigia dei trucchi sempre in mano.
Eppure, dopo aver giocato per anni a far l'americano snobbando a sua volta chi a casa sua lo snobbava, Gondry in Francia c'è tornato per girare Mood Indigo, tratto dal romanzo di Boris Vian La schiuma dei giorni, storia surreale e tragica che sembra scritta, con qualche decennio d'anticipo, apposta per lui.
Non stupisce quindi che, del film, Gondry abbia curato anche la sceneggiatura, né che vi appaia in un lungo cammeo; la vicenda del giovane Colin, inventore del pianoforte che prepara cocktail e del periscopio da balcone, lascia carta bianca all'immaginazione dell'eterno fanciullo di Versailles. Pure troppa: le scenografie eccessive e assurde, i cuochi nel frigorifero, i topi che soffiano bolle di sapone, le anguille che si contorcono in stop motion finiscono per schiacciare i personaggi al punto da renderli bidimensionali, vuoti cartamodelli prede di vacue eccentricità.
È nella seconda parte di Mood Indigo che, finalmente, il regista si salva dalla mera compilation delle sue stesse ossessioni: con la scoperta della malattia di Chloé, l'adorata moglie del protagonista, la pellicola s'incupisce fino a diventare, letteralmente, un film in bianco e nero. Il dolore, la morte e perfino l'alienazione della vita operaia irrompono sulla scena dando senso a trovate registiche che fino a quel momento erano risultate sì curiose, ma dopo un po' (poco) francamente stucchevoli.
È quando il mondo scolora, le stanze si rimpiccioliscono e le tempie incanutiscono a vista d'occhio, che riusciamo a vedere la poesia intrinseca di una storia in cui un tumore fa rima con fiore, regalando un senso nuovo e inatteso a quei Fleurs du mal tanto letti in gioventù. Meglio tardi che mai, dopotutto.
La storia surreale e poetica di un giovane idealista, Colin, che incontra Chloé, una giovane donna che finge di essere l'incarnazione di un blues di Duke Ellington. Il loro matrimonio idilliaco si trasforma in amarezza quando Chloé si ammala per una ninfea che cresce nel suo polmone. Per pagare le sue cure, Colin deve lavorare in modo sempre più assurdo, mentre il loro appartamento si deteriora e il loro gruppo di amici, tra cui il talentuoso Nicolas e Chick, fanatico del filosofo Jean-Sol Partre, si disintegra.