Il cinema di Silvio Soldini è popolato di figure visibilmente indecise sulla direzione da prendere, che la realtà quotidiana obbliga a seguire e, di conseguenza, a misurarsi con gli ostacoli che essa presenta. Sono gli egoismi e le contraddizioni dei personaggi, a rivelare la condizione interiore di anime divise in due che necessitano d’una guida. E non sempre è dato sapere se l’esito sia positivo, come mostra Pane e tulipani, o se sublimi in un interrogativo: sicché l’aiuto ricevuto rivela una mera funzione di stimolo. C’è da capire perché il regista milanese, al dodicesimo lungometraggio, avverta la necessità di coniugare l’abituale politique con un terreno al contempo delicato e ardito, peraltro già affrontato nel documentario Per altri occhi. Il colore nascosto delle cose è consapevole di giocare col lacrimevole a rischio di situazioni in cui il pietismo finirebbe per prendere il sopravvento.
Se l’impianto narrativo funziona, il merito è da attribuire alla sensibilità dell’autore, che non può far a meno di trasformare un apologo drammatico in una favola dolce-amara, venata di sfumature allegoriche. Al centro un incontro fra due anime solitarie: creativo per un’agenzia di pubblicità, tablet e cellulare perennemente in funzione, il quarantenne Teo rifugge da un incessante senso di responsabilità che lo porta a evitare la famiglia (frattanto colpita da un lutto), a mentire alla compagna e a trescare con un’altra donna, senza voler prendere una decisione. Il vuoto del suo smarrimento s’incrocia con quello di Emma, un’osteopata che ha perso la vista a sedici anni, senza lasciarsi sopraffare dall’oscurità. Bastone bianco in mano Emma non cessa di vedere l’ottimismo e la speranza oltre il buio. Non è solo il tatto ad agevolarla (e a permetterle d’intuire lo stile di vita frenetico dell’uomo “esplorandone” il corpo), ma anche l’aiuto offerto a Nadia, una diciassettenne ipovedente cui insegna il francese, che all’inverso di lei è incapace di uscire dalla propria condizione di fragilità. L’incontro fra queste due figure complementari, ancora una volta indotto dal Caso, fa de Il colore nascosto delle cose un “racconto morale” sulla reale cecità dietro l’apparenza in parallelo con la visione vera oltre l’oscuro, rimarcata dalla scelta stilistica di non mettere mai perfettamente a fuoco le immagini.
La prima parte, più interessante, si concentra sullo sguardo di Teo. Soldini si focalizza sulla luce (che evoca la vita, o anche solo la voglia di vivere) che illumina le piccole cose che: dalle piante ai prodotti alimentari, ai profumi che essi emanano e ripagano di un colore non tangibile. Più convenzionale la seconda metà, in cui la relazione fra Teo ed Emma, che il primo spaccia meschinamente per volontariato, subisce l’inevitabile frattura quando Greta, compagna dell’uomo, li sorprende insieme al supermercato. Il resto, compreso il rapporto d’amore fra i protagonisti, è la nota più dolente e qui la mano di Soldini si fa calcata, cercando di esplicare quanto sin lì perfettamente chiaro. Toccata e fuga di Teo, che cerca di riallacciare con la compagna, e conseguente, vano tentativo di Emma di raggiungerlo. Prima che le parti s’invertano: la meschinità di lui inquina e offusca quanto nella loro amicizia c’era di luminoso, e, al rifiuto di Emma di riprendere i contatti, la volontà di tornare alla luce si scontra con chi, la luce, preferisce spegnerla.
Il colore nascosto delle cose è un’opera molto semplice, che non ha la pretesa di essere un grande film, ma è un lavoro sentito, sincero e personale cui l’autore, anziché un epilogo difficile e dolente, sceglie di conferire un tono di speranza in linea con una cornice fiabesca. Riacquistata la fiducia e rinfrancata dagli insegnamenti di Emma, Nadia cerca Teo nell’azienda dove lavora e lo convince a raggiungere l’amica al centro riabilitativo che introduce il film. E qui a seguirla nella stanza buia da cui, nell’incipit, usciva insieme ai colleghi: perché la vista dell’uomo torni a splendere oltre i grami colori del mondo (si pensi al vivido rosso porpora nella sala d’aspetto), occorre una prova oltre l’oscurità. Il senso e nient’altro, in un mare indistinto di voci che riecheggia il truffautiano Effetto notte. E tale senso, una volta colto, forse permette a Teo di raggiungere Emma che sussurra: «Sono qui».
Teo è un uomo in fuga. Emma ha perso la vista a sedici anni, ma non ha lasciato che la sua vita precipitasse nel buio. Si è da poco separata dal marito e Teo, brillante e scanzonato, sembra la persona giusta con cui concedersi una distrazione. Per Teo invece, tutto nasce per gioco e per scommessa, Emma è diversa da tutte le donne incontrate finora ed è attratto e impaurito dal suo mondo. Una ventata di leggerezza li sorprende, ma quel galleggiare in allegria bruscamente finisce. Ognuno torna alla propria vita, ma niente sarà più come prima.