Sharon ripete, di fronte allo specchio, ciò che ha studiato. «Nel milleottocento nasce il verismo, il verismo è una forma letteraria che racconta della realtà, di come è fatta. Racconta i sacrifici dei contadini, i pescatori in Sicilia, le campagne…». Il verismo, dice la ragazzina, ha una caratteristica: non dà giudizi. Il suo scrittore principale, Giovanni Verga, «pensa che la vita è una catena che ci sono solamente sofferenze e sacrifici, e che è divisa tra vincitori e vinti». Non appena l’immagine stacca sul nero, quella che può sembrare la normale routine di una studentessa appare qualcosa di più. È chiaro che queste parole, poste in incipit di Il cratere, vogliono essere un manifesto programmatico da parte degli autori: questo è un film che racconta la realtà, con uno sguardo oggettivo, quasi documentaristico. La macchina da presa segue i personaggi senza mai intromettersi, senza dare giudizi. Si incolla alla nuca di ognuno di loro e si lascia scorrere davanti, uno dopo l’altro, i tranche de vie di una cruda quotidianità.
Se il riferimento al verismo letterario è “dichiarato”, quello al neorealismo è meno esplicito, ma altrettanto pregnante, nella vicenda di una ragazzina che viene obbligata dal padre a intraprendere la carriera dello spettacolo per diventare una star. E che dunque non può non ricordare Bellissima di Visconti. Anche qui, una tradizione mai interrotta, se si pensa alla storia di Dasy e Viola, le gemelle siamesi vendute come fenomeno da baraccone dai genitori in quel gioiellino recente e misconosciuto che è Indivisibili di Edoardo De Angelis.
Altro e inevitabile filo conduttore è la canzone napoletana. Sharon deve diventare la nuova promessa della musica neomelodica, tutto il resto non conta. La scuola, le amiche, lo sport sono tempo perso. Il padre investe speranze e risparmi sulla figlia, la madre si accolla ore in più di lavoro per pagare le spese: è lei il numero fortunato su cui puntare nella scalata al successo. Sharon deve arrivare in televisione, come le giovani starlette che ce l’hanno fatta, e ci arriva. Ma la sua voce è roca, quasi stanca, affaticata. E quando smette di essere una “miniera d’oro”, come la definisce il padre, Sharon smette anche di esistere.
Proprio la musica, che dovrebbe essere la sua salvezza, è la sua condanna. La protagonista è costretta a comunicare solo con i versi forzatamente sentimentali della sua performance, nel patetismo dei gesti e nella ricerca spasmodica dell’emozione. Ancora una volta, le sue parole hanno un significato profetico che scava oltre la superficie del film, anticipando il destino dei personaggi. Quando Sharon sale sul palco a presentare la sua canzone, O’ silenzio do’ rumore, spiega che è un messaggio per le famiglie: «Non abbandonate mai i figli, perché soffrono senza la presenza dei genitori».
Ma la ragazzina non fa che ripetere, per filo e per segno, ciò che il padre le ha raccomandato di dire. L’unico a non sentire è proprio lui: mentre riprende l’esibizione, che guarderà e riguarderà sul monitor del computer, la voce di Sharon svanisce in sottofondo, offuscata dall’ansia del successo. Se da una parte c’è la sordità del padre, dall’altra c’è il mutismo della figlia. Non c’è spazio di comunicazione tra l’uno e l’altro, l’unica relazione possibile è, appunto, «il silenzio del rumore», urlato dal grido vuoto e disperato di Sharon nel vorticare della giostra, al luna park.
Il cratere del titolo è il vuoto affettivo che squarcia l’anima di padre e figlia, l’incomunicabilità inesorabile che trova risposta solo nell’eco lontana di una canzone dal significato inutile. L’unica cosa che rimane, sospesa nella vacuità dei sentimenti, è la conferma della teoria di Giovanni Verga: la vita è una catena di sofferenze e sacrifici, divisa tra vincitori e vinti. E «chi nasce vincitore rimane vincitore, invece chi nasce povero rimane sempre povero».
Il cratere è terra di vinti, spazio indistinto, rumore costante. Rosario è un ambulante, un gitano delle feste di piazza che regala peluches a chi pesca un numero vincente. La guerra che ha dichiarato al futuro e alla sua sorte ha il corpo acerbo e l'indolenza dei tredici anni. Sharon è bella e sa cantare, e in questo focolaio di espedienti e vita infame lei è l'arma per provare a sopravvivere. Ma il successo si fa ossessione, il talento condanna. Il Cratere è una favola Disney al contrario.