Gipi è un fumettista. Quindi se fa un film, è per divertimento, letteralmente. Per volgere altrove il proprio sguardo, esplorare con un mezzo diverso il mondo, mantenendo intatto l’effetto straniante. Un film è per lui principalmente la bozza di una storia. E Il ragazzo più felice del mondo è la bozza dichiarata di un film, ovvero la genealogia e la provvisoria impresa di rappresentare una storia (vera). Lo spettatore, di fronte al film sul film che l’autore sta preparando, abbozza a sua volta. Questo sguardo incrociato tra due forme provvisorie di condivisione della medesima storia, dell’autore e dello spettatore, funge da trama.
Il ragazzo più felice del mondo è dunque il frutto di una negoziazione tra lo spettatore preso in contropiede da un umorismo misurato e infallibile e un autore autoironico che mette in scena e in campo la versione provvisoria del film da fare, ovvero il backstage che sostituisce la forma definitiva dell’opera, con le sue incombenze tecniche e i suoi imprevisti. Donde il ribaltamento dei ruoli, tra il fan ossessivo che da decenni scrive ai fumettisti fingendosi un adolescente (incarnando quindi la figura dello spettatore compulsivo e assente) e il regista-fumettista che ossessivamente vuole stanarlo, raccontare la storia di cui è diventato involontariamente protagonista.
Un film complesso, stratificato. Come si dice in questi casi: meta-filmico. Anche nel senso che è filmico solo a metà, essendo l’altra in pectore una sorta di fumetto prolungato, strutturato per vignette animate con attori/personaggi/autori nel ruolo di se stessi. Forse Gipi, interpretando in pratica lo stalker dello stalker, avrebbe potuto mescolare il disegno e l’immagine cinematografica, confondere il tutto, creare un risultato persino più caleidoscopico, ibrido. Ha scelto invece la modalità del film live action, sia pure di necessità in veste sperimentale e autoriflessiva. Ma ciò non toglie che è riuscito nell’impresa più difficile, di questi tempi. Far ridere, in continuazione. Tra tantissime commedie e film comici italiani asfittici e programmatici, avvinti nello stress di dover far ridere, Il ragazzo più felice del mondo ci riesce davvero, di continuo, senza sforzi. E in piena libertà.
In fondo non c’è cosa più patetica, pornografica, maniacale, a maggior ragione divertente, in tutti i sensi, che mettere in piedi un film, oggi in Italia. Che faccia addirittura ridere.
C’è una persona che da più di vent’anni manda lettere a tutti gli autori di fumetti italiani spacciandosi per un ragazzino di quindici anni. Nelle lettere chiede sempre “uno schizzetto” in regalo. C’è un fumettista italiano, Gipi, che inizia a indagare su questa persona. Vuole girare un documentario, trovare questa persona, intervistare gli altri autori che hanno ricevuto la lettera. Per realizzarlo, recluta degli amici. Sono solo degli amici. Completamente incompetenti. Ma c’è una storia da raccontare e, per Gipi, raccontare storie è la cosa più importante che c’è. Ma questa è anche una storia non scritta, che si adatta alle scoperte del momento. Ma le cose non vanno mai come vorremmo. E durante la lavorazione del documentario tutto si trasforma, sfugge, scappa di mano. Ed è così che Gipi si troverà a dover riflettere sul senso stesso del “raccontare storie” e sulle scelte morali che stanno a monte di questo desiderio. Cercando “il ragazzo più felice del mondo”, in una ricerca maldestra e dai contorni comici e deliranti, Gipi troverà tutt’altro, e lo stesso documentario, alla fine, si trasformerà in un film.