Nonostante il titolo italiano faccia temere un’altra innocua e inconsistente commedia sentimentale, Il condominio dei cuori infranti, vale a dire Asphalte, è una sorpresa molto gradita, un vento piacevolmente rinfrescante, un film che lascia una ambigua sensazione di male e bene mescolati insieme.
Tratto da due racconti dell’autobiografia in tre tomi del regista e scrittore Samuel Benchetrit, Chroniques de l’asphalte, il film narra la storia di tre solitudini, tre cadute, tre incontri e tre risalite. Stagliata su cieli bianchi, neri, o grigio cenere, sta una periferia francese inedita allo schermo cinematografico odierno, un paesaggio di una desolazione quasi western, dove si parla poco e si comunica a gesti.
Un condominio pieno di graffiti è il centro del nostro mondo.
Sternkowtiz (Gustave Kervern), trascurato e solo, non capisce perché debba pagare per sostituire l’ascensore, quando abita solo al primo piano. La totale miscredenza sul tema “solidarietà” e un uso forsennato della cyclette lo porteranno alla rovina: dopo aver pedalato senza freno per 100 km davanti al televisore, ridotto all’infermità, Sternkowtiz si troverà obbligato a scendere a patti con l’ascensore e con il mondo. Costretto a recarsi nell’unico luogo dove, a notte fonda, possa racimolare cibo (le macchinette di un ospedale), Sternkowtiz passa da automa a uomo nell’attimo in cui scopre l’amore per un’infermiera che fa il turno di notte (Valeria Bruni Tedeschi).
Charly, invece (interpretato da Jules Benchetrit, figlio del regista e della compianta Marie Trintignant), adolescente inquieto e rassegnato, passa le giornate trascinandosi stancamente dalla scuola al suo quartiere, mentre sua madre è fuori casa. Nell’appartamento di fronte al suo arriva un’attrice al crepuscolo alla ricerca di nuovi stimoli (Isabelle Huppert).
Anche Hamida (Tassadit Mandi), immigrata algerina con il figlio in carcere, volto sereno e un’enorme passione per le soap opera, sembra in attesa di qualcosa. E qualcosa arriva direttamente dallo spazio, ha gli occhi liquidi dell’astronauta americano John McKenzie (Michael Pitt) e parla una lingua che lei non conosce, ma che è decisa ad accogliere a braccia aperte e mestolate di cous cous.
A fare da suggeritore e collante di questi tre incontri-scontri è la tv, sempre accesa e sintonizzata su canali dove trasmettono I Ponti di Madison County, Beautiful o ancora La merlettaia di Goretta. A contare è ciò che accade, quasi un sortilegio prodotto da quel rumore misterioso che tutti credono il grido di un fantasma o di un bambino o di un demone: Sternkowtiz, fotografando con una vecchia polaroid località esotiche in televisione, diventa un affascinate uomo di mondo; l’America e l’Algeria naturalizzata francese stringono un patto di fraternità e liquidano il problema dello scontro tra civiltà in due giorni di convivenza; un ragazzino imberbe con tre battute riduce Sils Maria di Olivier Assayas a un trattato prolisso sulla figura dell'attrice e della donna che si misura con il tempo che passa...
E un piccolo miracolo si compie davanti ai nostri occhi.
Un palazzo di periferia in una anonima cittadina francese. Un ascensore in panne. Tre incontri improbabili. Sei personaggi insoliti. L'aspirante fotografo Sternkowitz e l'infermiera, l'attrice in pensione Jeanne, il giovane Charly, l'astronauta McKenzie e la signora Hamida. Dei solitari che si troveranno uniti da un grande sentimento di tenerezza, rispetto, compassione.