Una lacrima, niente più di una lacrima. E’ tutto quello che esce dal corpo di una donna esanime dopo avere ricevuto il bacio dell’uomo che la ama. Quanto basta perché un sonno così profondo da somigliare alla morte si riveli invece come tale: il corpo è vivo, ne escono lacrime, lo si può risvegliare. A condizione però che lo si ami a sufficienza.
Le favole sono piene di morti apparenti, di ragazze che cadono in sonni che sembrano eterni, dai quali vengono poi ridestati da gesti d’amore. Per Pablo Berger il cinema muto è come la ragazza di una fiaba: tutti lo credono morto, ma in realtà il problema è che nessuno lo ama abbastanza. Il suo film è un bacio, appassionato e tenero quanto basta perché l’addormentato si risvegli, fresco e riposato, nel pieno della sua bellezza.
Blancanieves rimette in moto l’estetica del muto in tutta la sua potenza visiva: volti intensi come paesaggi, oggetti oscuri come presagi, spazi grandi come il destino.
Ambientato nel 1929 (lo si capisce dalla data della rivista che sfoglia la matrigna della protagonista), sembra girato nello stesso anno, però da un regista che – come in un racconto di Philip Dick – ha un piede nel passato e uno nel futuro, e quindi piena consapevolezza di che cosa il cinema, di lì a poco, si sarebbe perso per strada.
Da qui la volontà di riprendere la tradizione, proprio come fa – nell’ennesimo gioco di specchi tra contenuti e valori del film – la protagonista col mestiere del padre. Una figura di stile come un tercio de muleta, l’una e l’altro nel segno dell’eleganza, della raffinatezza, riportando in auge una sapienza antica, che sembrava perduta.
Da Griffith (il tema della lacerazione familiare) a De Mille (la sontuosità degli spazi, degli arredi e dei costumi) passando per Browning (il mondo dei freaks e degli artisti da strada), Blancanieves affonda le radici nel cinema muto hollywoodiano. Ma non per dirci – come in The Artist – che in fondo non è successo niente, che il trapasso è stato indolore. Al contrario, per sottolineare cosa ci saremmo persi, se qualcuno non avesse creduto che quel cinema in fondo era solo addormentato, e che bastava un bacio a risvegliarne la bellezza.
Andalusia, anni Venti: Carmen, figlia di un ex torero paralitico e di una cantante morta dandola alla luce, viene allevata dalla nonna danzatrice di flamenco. Alla sua morte va ad abitare dalla perfida matrigna Encarna, seconda moglie del padre. Questi segretamente la indirizza verso il mondo della corrida, ma viene ucciso dalla moglie, che fa anche portar via Carmen, perché sia uccisa. La ragazza viene salvata da una compagnia di nani girovaghi. I nani aiutano Carmen nel mondo delle arene e lei, con il nome di Blancanieves, diventa una famosa torera, finché la matrigna riesce a farle mangiare la mela avvelenata.