Ci sono alcune cose che non tornano ne L’uomo di neve. Non tanto nella trama o nell’impianto noir; che segue quello del romanzo omonimo da cui è tratto. Ma proprio nelle scelte produttive che riguardano l’adattamento, il cast, l’ambientazione e anche la regia. Insomma proprio nell’operazione in sé.
Perché, per esempio, Scorsese – produttore – sceglie all’ultimo momento di non girare il film come regista? E perché – di conseguenza – decide che a farlo debba essere per forza uno scandinavo (prima di assegnare l’incarico ad Alfredson pensa a Kormákur e Morten Tyldum)? E poi – ancora – perché nell’ottica di restare fedeli al romanzo di partenza, ambientando il film in Norvegia, il cast (quasi tutto anglofono) recita in lingua inglese (problema che il doppiaggio italiano azzera del tutto, certo, ma non per questo meno importante) creando un buffo corto circuito sensoriale nello spettatore? Che senso ha, insomma, tentare di trovare una sintesi filologica fra romanzo e film facendone quasi un problema ideologico (se il libro è norvegese, si trovi un regista scandinavo!), se poi non si rispettano le più logiche e basilari regole della messinscena?
Potranno anche sembrare osservazioni puntigliose queste, ma il problema sta nel fatto che l’ibridazione di linguaggi e lo scollamento fra le idee e i contenuti causano una confusione che il film riflette in maniera lampante. E rendono il lavoro di Alfredson farraginoso, disordinato e sciatto, cosa che si nota sin dalle prime inquadrature.
Sembra che l’intenzione (a cominciare dalla produzione) sia più quella di inseguire gli adattamenti cinematografici della trilogia di Millenium di Stieg Larsson piuttosto che di trarne uno autentico e originale dalla serie scritta da Jo Nesbø (di cui L’uomo di neve è il settimo capitolo). Alfredson guarda soprattutto a The Girl with the Dragon Tattoo di Fincher (che a proposito, attirato in una trappola molto simile a quella de L’uomo di neve, era riuscito nonostante alcune imprecisioni linguistiche a fare un grande film), ma anche ad altri film del regista di Denver (soprattutto Seven) smarrendosi nella fitta rete di twist del romanzo e non riuscendo mai a dare una forma coesa e ragionata alla propria messinscena.
Motivo per cui sarebbe stato forse più saggio affidarsi a uno degli atri due registi inizialmente opzionati (meno il muscolare Kormákur e più Tyldum, che aveva già diretto un film tratto da Nesbø: Headhunters). Che Alfredson non sia a suo agio col thriller appare evidente soprattutto nella piattezza con cui osserva i personaggi e nella trascuratezza con cui li inserisce nel paesaggio. Non sembra in grado di rendere l’inverno norvegese il protagonista che dovrebbe essere: sorta di inferno ghiacciato che appiattisce, nasconde e livella anche le passioni più cupe. Ed è bizzarro rilevare una forma così televisiva in un autore che – soprattutto con Lasciami entrare – ha saputo in passato fare proprio del rapporto fra spazio e personaggi una delle chiavi espressive del proprio cinema.
Il risultato è dunque un noir slavato, senza mordente e smarrito nelle pieghe di un racconto del quale fatica a venire a capo. La detection del poliziotto alcolista Harry Hole (un Fassbender svogliato) – con la collega Katrine Bratt alla caccia di un serial killer che lascia un pupazzo di neve con la faccia triste vicino al corpo delle proprie vittime – tiene alta la soglia d’attenzione, ma è tutto merito del romanzo. Come è merito del romanzo il mondo vacuo in cui la storia è ambientata. Un universo popolato da orfani e dove i padri non hanno mai abitato, un mondo dove la sconfitta è l’unico risultato possibile e dove ogni credo e ogni morale si portano addosso l’odore della morte. In teoria un terreno ideale per costruirci un noir solido, teso e anche efferato come il film tenta di essere. In pratica solo uno spunto per mettere in piedi un episodio di Wallander con un bel po’ di attori famosi e i soldi della Universal. Non esattamente quello che chiameremmo cinema.
Investigando sulla scomparsa di una donna, avvenuta subito dopo la prima neve d’inverno, il detective (Fassbender) a capo di una squadra speciale anticrimine teme che sia tornato a colpire un inafferrabile serial killer. Grazie all’aiuto di una brillante poliziotta appena trasferita (Ferguson), il detective si trova a riaprire casi irrisolti vecchi di decenni nella speranza di trovare indizi che li colleghino al nuovo efferato delitto e sconfiggere così una mente diabolica oltre ogni immaginazione prima della prossima nevicata.