«Surprise».
È la battuta ricorrente di L'uomo invisibile di Leigh Whannell. Se la rimpallano Adrian Griffin (Oliver Jackson-Cohen), giovane genio diventato milionario per i suoi studi rivoluzionari nel settore dell'ottica (ha inventato un costume con cui può rendersi invisibile, appunto), e la fidanzata Cecilia (Elisabeth Moss), in fuga da quell'uomo che la vuole accanto per deprimerne la personalità e sottometterla al proprio narcisismo patologico.
Ma dove sono, se ci sono, le sorprese nel film? Non tanto nella scelta di abbracciare l'attualità, collegandosi al #metoo e, nello specifico, al tema delle donne che devono combattere fenomeni di stalking: in questo senso, la scelta della Moss di The Handmaid's Tale rappresentava già una cristallina dichiarazione d'intenti. Col senno di poi, neanche nel finale, che pure è indubbiamente efficace: bastava scorrere il curriculum di Whannell da sceneggiatore (i primi tre capitoli della saga di Saw), regista (il revenge movie Upgrade) e attore (nell'ultrareazionario Death Sentence del sodale James Wan), per aspettarsi che anche nella sua reinterpretazione di un classico del fantastico (di cui è autore totale) avrebbe lasciato emergere il suo concetto disinvolto (o perlomeno controverso) di giustizia.
Eppure L'uomo invisibile sorprendente lo è davvero. Lo è nell'abilità con cui tiene insieme tutte le istanze e le forme di cui si compone. Che sono quelle di un reboot (anche se l'unico collegamento con l'originale è un omaggio: l'immagine di un uomo in ospedale bendato come Claude Rains nella pellicola di Whale) concepito per rinverdire il progetto del Dark Universe, vale a dire la riproposizione sul grande schermo dei mostri della Universal, inizialmente accantonata dopo il mezzo flop di La mummia con Tom Cruise; ma anche quelle di un thriller continuamente e diabolicamente capace di rilanciarsi e reinventarsi, prima come home invasion e poi come dramma paranoide, con la protagonista perseguitata che deve convincere gli altri di non essere pazza («This is what he does. He makes me feel like I'm the crazy one»).
Sorprendente lo è – ancora e soprattutto – perché, come i grandi B-movie, non si limita a piegare la realtà ai suoi scopi, ma si rende permeabile affinché l'attualità ne ridefinisca la lettura (Marco Tassinari), facendosi poroso quel tanto che basta perché la realtà lo attraversi lasciandovi i segni del proprio passaggio.
Prevista nei cinema italiani il 5 marzo, la distribuzione di L'uomo invisibile è stata posticipata a data da destinarsi a causa del Covid-19, così che chi ne parla e ne scrive in questi giorni, sottraendolo di fatto a una forzata, paradossale invisibilità, può farlo solo ricorrendo a metodi non leciti. E a guardarlo in questi tempi di quarantene coatte, tutti quei piani vuoti utilizzati per suggerire la presenza di un'entità nascosta, tutti i campi lunghi sulla casa di Adrian – asettica combinazione di volumi in vetro e cemento armato – si fanno involontaria, folgorante metafora della pandemia che sta modificando un mondo che forse, alla fine di tutto, non saremo più in grado di riconoscere.
Quindi sì, è il caso di esclamarlo, e a buon diritto: «Surprise».
Intrappolata in una relazione violenta e manipolatrice con uno scienziato, Cecilia Kass scappa nel cuore della notte facendo perdere le sue tracce. La aiutano la sorella, un amico d’infanzia e la figlia adolescente di quest’ultimo. Quando però il suo violento ex si suicida e le lascia in eredità la sua vasta fortuna, Cecilia sospetta che si tratti di una messa in scena. Mentre una serie di inquietanti coincidenze diventano letali e minacciano la vita di coloro che ama, la sanità mentale di Cecilia inizia a vacillare, nel disperato tentativo di dimostrare di essere braccata da qualcuno che nessuno può vedere.