Florence è una giovane vedova che vive ad Harborough, una cittadina inglese affacciata sul Mare del Nord. Ha perso il marito in guerra, più di sedici anni prima, ma non ha mai dimenticato il loro primo incontro in una libreria di Londra. Lui le leggeva i classici ad alta voce. Proprio come la voce narrante del film, che parla in prima persona e sembra tenere il segno su una pagina stampata: «una volta mi disse che, quando leggiamo una storia, la abitiamo. Le copertine dei libri sono come un tetto e quatto mura: una casa. Lei amava più di ogni altra cosa al mondo il momento in cui, finito il libro, la storia continua a vivere, come un sogno molto vivido, dentro la nostra testa». Ma forse l'effetto è voluto, dal momento che la sceneggiatura scritta da Isabel Coixet è basata proprio su un romanzo, La libreria di Penelope Fitzgerald, pubblicato nel 1978.
Coixet adotta una regia pulita e ordinata che ben si sposa con il contegno così egregiamente british degli attori. La macchina da presa scivola languidamente sulle mensole degli scaffali, facendo scorrere un libro dopo l’altro, e riserva lo stesso trattamento ai personaggi. Ognuno di loro viene introdotto prima da lontano, dietro l'imperscrutabile cortina di sorrisi tirati e rigoroso understatement. Poi, a mano a mano che la storia si dipana, ecco che la silhouette di ciascuno prende forma e diventa “persona”, nel senso etimologico del termine, nel significato originario di "maschera". Perché in effetti ognuno di loro rappresenta un attore, una pedina da spostare in questo dramma ricamato, a regola d'arte, di inganni e tradimenti.
Questo film è, a ben vedere, interamente costruito sui libri, e non solo perché si basa su un testo che nasce originariamente come fiction novel, ma perché è letteralmente popolato di libri, visivamente e semanticamente. I libri diventano, come suggerisce la voice-over in incipit, i mattoni e il cemento, le fondamenta su cui edificare la propria esistenza. Ci sono i grandi classici scritti da Jane Austen, Oscar Wilde, Dickens, Keats e Thackeray. Ma ci sono anche le novità, che, come ogni novità, quando arrivano rompono la quotidianità, suscitando scalpore. Libri che, nel tempo della storia (siamo il 1959) ebbero un impatto decisivo non solo sul panorama letterario dell’epoca e sull’arte dello scrivere, ma anche sull’opinione pubblica internazionale. Romanzi, soprattutto, come Fahrenheit 451 di Ray Bradbury e Lolita di Vladimir Nabokov, assunti come padri nobili del potere della letteratura, intesa come capacità di creare mondi alternativi alla realtà sia su carta che su pellicola.
La casa dei libri infatti porta avanti il significato più profondo di un testo che mette in guardia dal pericolo strisciante della censura, una caccia alle streghe che si alimenta nelle fiamme del rogo. Florence è la prima vittima di questa caccia alle streghe perché rappresenta la libertà di pensiero in carne ed ossa, lei che va avanti a testa alta nonostante tutto e tutti stiano cercando di ostacolare il suo sogno. Ed è esattamente la sua ostinazione ad innescare lo scandalo, come la vetrina tappezzata dalle copertine di Lolita. Un libro pubblicato più di sessant’anni fa e che tuttora non smette di far discutere. Un libro, soprattutto, che è riuscito ad aprire una breccia nella sonnolenza intellettuale e che di conseguenza è, ancor oggi, più che mai necessario. Non è forse questa, infatti, la missione ultima della letteratura?
Hardborough, Inghilterra, 1959. La sonnolenta cittadina balneare viene travolta dall’indomita Florence Green che, rimasta vedova, decide di sfidare la fredda apatia locale aprendo la prima libreria del paese e scuotendo i tranquilli abitanti con la migliore letteratura del momento, da "Lolita" a "Fahrenheit 451".