La testimonianza prende le distanze dal tradizionale film di ambientazione storica che cerca di far rivivere il terrore e la disumanità della Shoah. La memoria e il trauma sono coniugati al presente, in un thriller in cui il malvagio non si identifica banalmente con il nazista, ma con colui che dimentica (per volontà o per rimozione); mentre la colpa non assume carattere individuale, ma si espande a macchia d’olio fino a costituirsi come collettiva, se non universale. Il film di Amichai Greenberg si configura come un’estenuante lotta contro l’oblio.
La questione identitaria, che del film è colonna portante, non è tuttavia - a discapito del tema - da riferirsi solo all’identità ebraica, ma si pone come quesito universale: che cosa mi definisce? Inizialmente il protagonista Yoel si propone come incarnazione di un modello precostituito, una sorta di paradossale standard identitario imposto dall’esterno, definito per conformità anziché per differenza, attore di una parte già scritta: quella del perfetto ebreo osservante, piccola porzione di un tutto - la comunità - che determina le sue scelte di vita e di carriera caratterizzando il suo lavoro di ricerca come una sorta di dovere morale implicito nei confronti del popolo di appartenenza - e contro l’altro popolo, quello dei goy, dei non-ebrei.
La testimonianza è un viaggio tra questi due mondi - nel particolare, Israele e l'Austria - ancora cauti nell’approccio reciproco. «La guerra non è finita», svela pessimista la voce del testimone senza volto, intimorita dalle possibili ripercussioni della propria posizione nella vicenda che Yoel cerca di riportare a galla. Lo sterminio cui si fa riferimento è ispirato al reale massacro di Rechnitz, e il film - che pure contiene materiale documentario raccolto dal regista - si muove verso la forma del resoconto realistico dal tono ammonitore. «Non credo nelle narrazioni», sentenzia Yoel, umile ricercatore di una verità che possa definirsi oggettiva e assoluta. Per il protagonista il viaggio tra i due mondi si qualifica come esperienza di un’identità fluida e indefinita. Scardinati i punti fermi e venute meno le certezze, i frantumi del proprio essere sembrano impossibili da ricomporre. Eppure, in questa sorta di tabula rasa, il protagonista può rinascere come uomo, riscoprendosi innanzitutto individuo - e non più parte integrante di un corpo comunitario totalizzante. Solo così la lotta contro l’oblio smette di essere solo dovere nei confronti del proprio popolo per diventare diritto universale, e si riappropria di un’etica umana che si oppone al silenzio come all’ignoranza imponendosi sulla paura dell’altro per esorcizzarla.
Scavare, smantellare il cemento delle future strade sulle fosse comuni, sigillo simbolico del rimosso, è allora indagare il proprio essere individuale ed estrarre al contempo una coscienza collettiva, non ebraica ma universale, e riportare alla luce una memoria storica tanto dolorosa quanto necessaria. La testimonianza è un film riflessivo, quieto, in linea con il silenzio dei carnefici e dei complici che non parlano, negando la Storia. Un silenzio che viene rotto soltanto alla fine, con prove tangibili, con il rumore assordante delle coraggiose testimonianze, con la voce della verità, che è innanzitutto memoria viva. Da subito i ricordi dei sopravvissuti sono vividi e dettagliati, ma talvolta taciuti o alterati per timore del nemico, del goy. Ed è una paura che genera solitudine e abbandono, figure ai margini di una Storia che è ancora in corso di scrittura; è l’isolamento dei paesaggi sterminati dell’Austria, di una cittadina che pare abbandonata da qualsiasi anima viva; il rifugio della penombra delle luci artificiali, dei muri a vetro e della gabbia di ferro dell’ufficio di Yoel. Ed è una solitudine sofferta - quella dell’ebreo, del testimone, dello storico e del memore - che culmina nel buio quasi totale del funerale notturno.
Perché solo quando la Storia non sarà più “narrazione”, solo quando la realtà dei fatti non sarà più “disputabile”, solo allora la verità trionferà come assoluta rompendo il silenzio e vincendo la solitudine.
Yoel, un ricercatore che studia la Shoah, è nel mezzo di una battaglia legale, ampiamente ripresa dai media, contro interessi potenti in Austria. La questione riguarda un brutale massacro di ebrei che ebbe luogo verso la fine della Seconda guerra mondiale nel villaggio di Lendsdorf.
Un’influente famiglia di industriali, sulle cui terre avvenne la strage, sta progettando di costruire un complesso immobiliare proprio in quel luogo. Yoel sospetta che il loro scopo sia quello di insabbiare il caso per sempre, ma ha difficoltà a trovare le prove definitive per fermare il progetto. Mentre svolge le sue ricerche sull’incidente, Yoel esamina testimonianze secretate di sopravvissuti allla Shoah e, scioccato e sorpreso, ritrova una testimonianza resa dalla madre, di cui non sospettava l’esistenza. In essa, la donna confessa un fondamentale segreto del proprio passato. Yoel, che sta svolgendo una doppia ricerca, personale e scientifica, è intrappolato tra muri di silenzio. Da storico incrollabilmente dedito alla verità, decide di continuare le ricerche anche a costo di rovinare la propria vita personale e professionale.