La storia vera, romanzata senza esagerare, di Maureen Kearney, sindacalista che portò (per prima) alla luce, dopo un calvario giudiziario, le manovre per fare entrare la Cina nel “mercato” delle centrali nucleari in Francia, spogliando il settore in pochi anni di personale (50.000 persone) e del controllo nazionale.
La vicenda inizia nel 2012 a Rambouillet, cittadina non lontana da Versailles. Quando sostituiscono la dirigente con cui aveva un rapporto di collaborazione e stima (la interpreta Marina Fois) con un mediocre e incazzoso funzionario (un incisivo Yvan Attal) e dopo che una talpa le fa avere documenti riservatissimi sulle trattative tra EDF e cinesi («alleati a costruire centrali a basso costo»), Maureen intraprende una battaglia solitaria per informare politici e ministro del fatto. Ci saranno drammatiche conseguenze personali, prima le minacce telefoniche, poi un'aggressione in casa crudele e sadica e quindi una serie di indagini che trasformeranno la donna da vittima a sospettata di simulazione. Ci vorranno molti anni...
Jean-Paul Salomé, che dopo facili successi come Belfagor (2001) e Arsenio Lupin (2004) ha cominciato dal 2008 ad alzare il tiro con Femal Agents, ha inaugurato con La padrina una fluida collaborazione con Isabelle Huppert, qui proseguita.
Sguardo di ghiaccio e fremente di indignazione («Wonder Woman non vuole togliersi il costume»), ingentilita da una fragilità trattenuta ma affiorante (sono i tocchi di classe di una star algidamente impeccabile) e da una vita familiare tutto sommato “normale” con un marito musicista e una figlia che ha attraversato le sue tribolazioni adolescenziali, Maureen Kearney fuori dal lavoro vince a poker e legge, sottolineandone le frasi, i gialli di Ian Rankin (complimenti, è uno bravo davvero) ma nella battaglia sindacale è un treno che non conosce barriere. Salomè ripercorre un fatto di cronaca politica-economica-giudiziaria affidandosi alla struttura del thriller più tradizionale, ovvero colonna sonora incalzante, il crimine da svelare sempre presente, la battaglia giudiziaria seguita con una emotività di intenti solo mascherata dalla cadenza malinconico-realista (Costa Gavras è lontano ma non tantissimo).
La suspence passa per i parcheggi sotterranei (come quasi sempre: non-luoghi in cui la violenza può annidarsi dietro i piloni alla luce dei neon disumanizzanti), per piccole coincidenze quotidiane, per le indagini di una polizia ora ambigua ora partecipe, forse collusa con il potere o forse solo adagiata sulle procedure standard, con la preoccupazione di una persona che si sente sempre più braccata e senza uscite.
Assolutamente dignitoso nel suo complesso, La verità secondo Maureen K. soffre nell'indecisione del regista tra il rispetto del racconto dei fatti come sono avvenuti e la voglia/necessità di spettacolarizzazione. Il drammatizzare seguendo la tabella cronologica, alla fine logora il ritmo della vicenda, efficace almeno finchè indugia sulla possibile colpevolezza della donna, cui non aiuta il self control di fronte al dramma e un passato che nasconde traumi.
Maureen Kearney è l’esponente sindacale di spicco di una multinazionale. Quando cerca di ostacolare gli interessi dei potenti, viene aggredita e violentata in casa sua. Le indagini si svolgono sotto pressione e nella mente degli inquirenti inizia a crescere il dubbio: da vittima, la donna si ritrova ad essere la prima sospettata.