To do a dangerous thing with style is what I call art (Style, Charles Bukowski)
Impresa ardua evitare il ridicolo in una dichiarazione d’amore, così strabordante di retorica, banale nella ripetizione di modelli e stili, sempre identici, tanto per non sbagliare. L’unico modo per scongiurare la goffaggine e la mediocrità del gesto è il rischio. Rischiare la caduta rovinosa non curandosi delle conseguenze, non per imprudenza ma per temerarietà, rende l’impresa sublime.
Il film di Abel Ferrara è forse la più appassionata e coraggiosa dichiarazione d’amore fatta da un autore a un altro autore, riconosciuto come mentore, ispiratore e “fratello”. Pier Paolo Pasolini è l’intellettuale di cui tutti si sono appropriati dopo la morte, stravolgendone il pensiero, piegando con malafede il senso delle sue parole, facendone un santino buono per tutte le stagioni, edulcorandone pulsioni e indole. Basterebbe anche solo rileggere qualche brano raccolto negli Scritti corsari o nelle Lettere luterane, riascoltare le sue interviste, rivedere i suoi film, per rendersi conto della lucidità adamantina del suo pensiero, della coerenza perseguita a rischio dell’isolamento e della morte.
Pasolini era un tutt’uno con le sue opere, che si mischiavano alla vita e alle esperienze quotidiane, eppure la maggior parte di coloro che prendono parola per “spiegarlo” conoscono il suo lavoro in maniera sommaria e superficiale, glissano, con una certa vigliaccheria, le parti più controverse della sua esistenza, tentano di depotenziarne la carica eversiva. Ferrara, al contrario, dimostra di conoscere alla perfezione il corpus pasoliniano, optando di mettere in scena alcune parti di Petrolio, lo straordinario romanzo incompiuto, e Porno-Teo-Kolossal, sceneggiatura scritta per Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli, e mai realizzata.
Più è sacro dov’è più animale / il mondo.
La scelta di affrontare l’Appunto 55, Il pratone della Casilina - in cui Carlo, protagonista di Petrolio, ha ripetuti rapporti sessuali con ragazzi appartenenti al sottoproletariato, venendo così a contatto con una classe sociale che mantiene ancora qualcosa di osceno e animale e quindi di eletto e sacro - e l’arrivo di Epifanio (il Re Magio pensato per Eduardo) e Nunzio (il servo che doveva essere interpretato da Ninetto) a Sodoma - dove assistono alla Festa della Fecondazione, un rituale pagano che manifesta la tolleranza per ogni minoranza sessuale – non è casuale ma, in maniera poetica, mescolando opera e vita, immaginario e realtà, pone la sessualità, in quanto atto politico, in posizione centrale.
Il sesso era per Pasolini il modo per mischiarsi con quel che considerava sacro e vitale, la maniera per conoscere ciò che per la borghesia - a cui egli stesso apparteneva - rimaneva marginale e misterioso. «Io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi». Anche Ferrara, per vicende personali, si è sempre mischiato con la realtà, provando sulla sua pelle esperienze di vario tipo, portando sullo schermo personaggi che, in maniera differente, mettevano in luce la portata antisistemica delle loro pulsioni.
Per redimerci Cristo / non è stato innocente, ma diverso.
Così come Pasolini si è immerso totalmente nella realtà e nei suoi umori, pagando sulla sua pelle il rischio che correva - «Con la vita che faccio io pago un prezzo... È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno - se torno - ho visto altre cose, più cose» -, Ferrara ha deciso di immergersi nel mondo di Pasolini, nel suo lavoro, nel suo vissuto, facendosi carico di ciò che era rimasto incompiuto, senza farne un’agiografia, ma portando sullo schermo la grandezza e la complessità di un uomo per cui continuano a parlare le opere, come fossero l’eco di una Cassandra mai davvero ascoltata: «Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film».
In una sorta di “affinità elettiva”, Abel Ferrara, dimostrando una grande intelligenza e una profonda comprensione dell’umanità di Pasolini, sceglie di farlo interpretare a un Willem Dafoe incredibilmente somigliante, che ha fatto sul fisico, la gestualità, le espressioni del volto un lavoro davvero straordinario, non mimetico, ma teso a ridar vita a una figura che ha usato non solo la sua voce, la sua scrittura e la sua visione, ma soprattutto il suo corpo per attraversare un’epoca tutt’altro che pacificata.
Qualcuno è rimasto ugualmente scandalizzato dal sentir parlare il Pasolini di Dafoe in americano e non in italiano (ma come, così simile fisicamente, parla una lingua “altra”?), probabilmente non avendo capito che Pasolini non è un biopic macchiettistico bensì un film sul presente (da notare, per esempio, come nella messa in scena di Porno-Teo-Kolossal, accanto ai protagonisti vestiti stile anni '70, ci siano altri personaggi abbigliati come oggi, per una sceneggiatura scritta nel passato ma proiettata - e realizzata - nel tempo attuale), il capolavoro che un autore anarcoide e libero dedica a uno degli uomini più liberi e coerenti che l’Italia abbia mai avuto e che di conseguenza si prende la libertà di fare un atto di invenzione proprio per non tradirne la memoria.
Inoltre, a chi ha criticato “la stravaganza” di utilizzare l’americano, deve anche esser sfuggito che l’uso della lingua cambia a seconda delle situazioni (e tutto questo, purtroppo, andrà perduto nel doppiaggio): Pasolini/Dafoe parla in americano con i familiari, Laura Betti, i giornalisti, gli intellettuali, le persone che appartengono alla sua cerchia e che fanno lo sforzo di avvicinarsi a lui, alla sua lingua e al suo linguaggio, mentre nei momenti di tenerezza con la madre e, soprattutto, con Pino Pelosi e “i ragazzi di vita”, è lui a andare incontro a loro usando l’italiano, più viscerale e, per sonorità, più arcaico.
«Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta di essere scandalizzato è un moralista». Tutto il film è impregnato dell’immaginario di cui Pasolini si nutriva, dalla Roma terminale, alla voce della Callas che accompagna le sequenze finali della sua morte, trasfigurando in tragedia ciò che per alcuni si sarebbe andato semplicemente a sommare ai numerosi fatti di cronaca nera che riempivano i giornali in quel periodo (il massacro del Circeo, gli omicidi di matrice politica, la violenza diffusa), alle architetture imperiali, eterne, alle forze del Passato (1).
Ferrara con questo film compie un atto d’amore nei confronti di Pasolini, evocando il suo mondo, dimostrando come sia attuale e come lo stesso Pasolini sia ancora vivo, necessario nella sua immersione nella realtà, in anticipo sui tempi, oltre la contingenza dell’istante, come una pagina di un diario aperta su un giorno successivo a quello attuale.
Bisogna preferire l’inferno reale al paradiso immaginario (Simone Weil).
1 “Io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle Chiese, / dalle pale d'altare, dai borghi / dimenticati sugli Appennini e sulle Prealpi, / dove sono vissuti i fratelli. / Giro per la Tuscolana come un pazzo, / per l'Appia come un cane senza padrone. / O guardo i crepuscoli, le mattine / su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti della Dopostoria, / cui io assisto, per privilegio d'anagrafe, / dall'orlo estremo di qualche età / sepolta. Mostruoso è chi è nato / dalle viscere di una donna morta. / E io, feto adulto, mi aggiro / più moderno di ogni moderno / a cercare fratelli che non sono più”. (P.P. Pasolini, Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano, 1964).
Un caleidoscopico sguardo sugli ultimi giorni di vita di Pier Paolo Pasolini.