È curioso come film che parlano di lotte giuste, di diritti acquisiti e ancora in discussione, di battaglie in genere che vedono protagonista l’altra metà del cielo siano destinati, come se fosse un marchio originario, a essere niente di più che dei passabili film in costume, mitigati dalla dolcezza femminea della retorica, resi innocui da personaggi icone che non vanno oltre lo status del “santino” e, soprattutto, bollati dal timbro del melodramma in odore di polpettone.
Nonostante le buone premesse – regista donna appassionata alla causa e indignata che non le avessero spiegato la lotta delle Suffragette a scuola (Sarah Gravon); sceneggiatrice capace ed esperta (Abi Morgan, autrice di The Iron Lady e The Hours, la serie); cast di riguardo (Carey Mulligan, Anne-Marie Duff, Helena Bonham Carter, il cui bisnonno era curiosamente Primo Ministro ai tempi della sufragette e ne osteggiava le battaglie); una sola, importante scena interpretata da Meryl Streep - Suffragette non si distacca dal pregiudizio iniziale e lo conferma a pieno: è, insomma, un innocuo film per signore.
Eppure, di elementi per fare qualcosa in più di un film educativo-propedeutico (la vicinanza con l’anniversario dei 70 anni del voto alle donne in Italia ha già fatto partire una serie di proiezioni nelle scuole), ce ne sarebbero stati. Prima cosa, l’intelligente scelta della Gravon di non mettere in scena la biografia della leader del movimento, Emmeline Pankhurts (interpretata dalla stessa Streep) e di mostrare di questo le derive violente dopo 50 anni di proteste pacifiche senza risultati; poi l’idea di partire dal basso, dall’humus operaio delle protagoniste, da un lavanderia insalubre gestita da un uomo lascivo; e infine di concentrare l’attenzione su un personaggio fittizio, inizialmente alieno alla causa, che a poco a poco vi aderisce in toto, secondo una presa di coscienza un po’ fulminante, che procede a scatti, e, quindi, poco credibile: Maud (una invece credibile Carey Mulligan), donna di 24 anni, un figlio che si chiama come il re e la certezza che se si fosse chiamato Margareth (come la madre del marito) sarebbe morto giovane e infelice. E poi di citare Emily Davison (interpretata da Natalie Press), che, gettandosi sotto il cavallo del re durante il Derby di Epsom, riuscì a conquistare la prima pagina dei giornali e forse anche l’attenzione necessaria alle suffragette per ottenere qualcosa. Le immagini di repertorio finali che mostrano il suo funerale sono forse la parte più pregnante, e derivativa, del film.
Londra, inizio Ventesimo secolo. Maud fa la lavandaia da quando ha sette anni, in un luogo di lavoro poco sicuro, dominato dalle prepotenze del proprietario, ed è sposata a un uomo che la maltratta. Trovatasi per caso nel mezzo di una sommossa organizzata dalle suffragette, dopo l’iniziale riluttanza aderisce al movimento, nella speranza di ottenere quella libertà che a lei, come a tante altre, è sempre stata negata. Ma la lotta è difficile e dolorosa.