Al fortunato cui capitasse di andare oggi a Copenhagen non verrebbe certo in mente il proverbiale marcio shakespeariano: cieli azzurri, strade linde e prati brillanti fanno da cornice a uno dei fari della civiltà nordica, dove le babysitter e le biciclette sono messe gratuitamente a disposizione della comunità.
Eppure in Danimarca del marcio c'è stato e c'è tuttora, come ben sanno i registi indigeni: ce lo ha ricordato Nicolas Winding Refn con Pusher e ce lo ricorda, in prospettiva più storica, Nickolaj Arcel con Royal Affair, dramma ambientato alla corte danese nella seconda metà del Settecento.
Un re matto, una regina sofferente e un medico con le fattezze di Mads Mikkelsen (lo strepitoso e inquietante Hannibal televisivo o, se preferite, l'ancor più strepitoso e inquietante One-Eye di Valhalla Rising) sono gli attori principali che si muovono sul difficile terreno di un paese ancora vessato dalla bigotteria e da troppi retaggi medievali, dove i Lumi accesi altrove da Rousseau e Voltaire faticano a risplendere nonostante gli enormi sforzi dei protagonisti.
Un film fatto di chiaroscuri, un dramma accurato e accorato in cui la ricostruzione di eventi realmente accaduti è affidata alla voce della regina Carolina Matilde, donna radiosa e insieme disperata, preda in ugual misura delle proprie esaltazioni e debolezze, fisiche e culturali.
In Royal Affair luce e ombra si avvicendano, si sfiorano e si compenetrano fino alle ultime battute della narrazione, quelle in cui, finalmente, le ragioni di chi crede nella Ragione cesseranno di venire offuscate da overdosi di parrucconi e clavicembali, come si conviene ai migliori affreschi settecenteschi.
Royal Affair, lungi dall'essere soltanto l'ennesima occasione per mostrare un po' di costumi e scenografie, fa luce - e getta ombre - su un pezzo di storia europea che non conoscevamo. I due meritati Orsi d'argento alla Berlinale dell'anno scorso (uno al re matto Mikkel Boe Følsgaard e l'altro agli sceneggiatori) dimostrano che si può parlare di intrighi di palazzo senza essere troppo intricati e senza incastrarsi nel pruriginoso o nel pettegolo a tutti i costi. Riuscire a spostare l'attenzione sul progresso culturale di un popolo è un bel risultato, per un film dove la tresca compare fin dal titolo.
Christian VII, re di Danimarca a diciassette anni sposa la cugina principessa Caroline Matilda sorella del re d'Inghilterra Giorgio III. Dopo il matrimonio l’instabilità mentale del sovrano si manifesta in una promiscuità sessuale che esclude la moglie dai rapporti. Strumento del tutto passivo di un Consiglio di Corte reazionario, Christian cambia atteggiamento dopo aver conosciuto Johann Friedrich Struensee. Costui, medico tedesco convinto assertore delle teorie illuministe, costruisce un rapporto molto intimo con il giovane re, riuscendo a instillare i propri ideali nella mente di quest’ultimo il quale li impone a ministri sempre meno disposti a ottemperare ai suoi ordini. Intanto la sempre più negletta Caroline inizia una relazione con Struensee.