Una volta deciso di raccontare il lockdown dello scorso marzo, Steven Knight potrebbe sembrare davvero l’uomo giusto per farlo. Ancor più di Doug Liman, abituato a spaziare tra luoghi e situazioni con un dinamismo che risulterebbe innaturale in vicende compresse nell’unicità di un luogo. Perché, se non tutti, molti hanno ancora negli occhi il furbo congegno allestito da Knight in Locke, la tensione montante all’interno di un abitacolo generata esclusivamente per mezzo dei dialoghi e di un tempo che stringeva fino a diventare soffocante.
Però Steven Knight è sceneggiatore diseguale (e regista rovinoso - con l’eccezione di Locke, appunto), capace di passare da gioielli come Piccoli affari sporchi, La promessa dell’assassino, La grande partita e Peaky Blinders a lavori scadenti come Il sapore del successo o Serenity con una discontinuità a tratti sconcertante. E Locked Down - disponibile per l’acquisto e il noleggio premium su Apple Tv app, Amazon Prime Video, Youtube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV e per il noleggio premium su Sky Primafila e Infinity - sembra appartenere, occorre dirlo subito, più a questa seconda categoria che non alla prima.
Il disegno è ovvio: si prendono due attori di grido, Anne Hathaway, già protagonista del flop di Serenity, e Chiwetel Ejiofor e si organizza intorno a loro una chimica fatta di coercizioni e limitazioni, con un rapporto di coppia logoro e l’obbligo di convivere ancora per un paio di settimane (e poi ancora e ancora e ancora, come sappiamo). Si nutre la loro convivenza forzata con un rimpallo di dialoghi che, perlomeno nelle intenzioni, dovrebbe essere il motore scoppiettante della narrazione. Si fa in modo, inoltre, che scrittura e messa in scena lavorino per rendere esemplare la clausura, spruzzando qua e là occasionali dosi di simpatia come se si trattasse di un deodorante per ambienti, ovviamente chiusi; però l’aria stantia, dopo un po’, emerge comunque (di questi spruzzi di aroma empatico fa anche parte la frivola apparizione del riccio Sonic, sedotto e abbandonato nelle prime scene, come molti altri aspetti all’interno del film, ma addirittura accreditato nei credits per eccesso di giocosità e non, come invece potrebbero pensare i maligni, perché presenza espressiva pari almeno a quella dei due attori di grido).
Ovviamente, è cinema, per cui Anne e Chiwetel, nel film Linda e Paxton, pur trovandosi alle prese con situazioni riconoscibili a ogni latitudine (ad esempio l’improvvisa vocazione panificatrice di chiunque), discettano delle loro crisi personali, di coppia e professionali, caricando eccessivamente le battute di un dialogo che in breve sostituisce ai tic e allo sconforto della cattività pandemica eccessi lirici e declamatori. Per cui, se non appare tanto fuori luogo che Paxton scenda in strada a recitare ai vicini entusiasti versi di T.S. Eliot, D.H. Lawrence e Robert Graves che pur hanno un aggancio sintomatico con gli sviluppi della vicenda narrata (sui social, nel corso delle prime settimane, abbiamo visto sicuramente di peggio, dalle note dell’inno ufficiale del primo lockdown, L’Italiano di Toto Cotugno, cantato a squarciagola come mantra apotropaico, a dj-set sul costante margine dell’esaurimento); è anche vero che sentir paragonare la casualità dell’epidemia all’operato delle Valchirie oppure descrivere in un sofferto monologo le forze sinistre del capitalismo mentre avviluppano le gambe di Linda come il serpente del Giardino dell’Eden, potrebbero far propendere mille volte per il rischio del contagio piuttosto che restare bloccati nella coesistenza forzata di Linda e Paxton raccontata da Knight e Liman. Tutta la sceneggiatura di Locked Down vorrebbe supplire alla rarefazione di qualunque tensione erotica all’interno della coppia con un’attualizzazione dell’overlapping hawksiano ma l’intenzione rimane tale e la sovrapposizione si fa avvicendamento enfatico, non fuoco di fila.
Locked Down è uno dei primi film dell’era Covid, sicuramente diventerà più celebre della manciata di esperimenti passati senza lasciare traccia (ad esempio l’horror via Zoom Host o il grossolano studio di caratteri rinchiusi in un ascensore Corona), ma pur essendo trascorso solo un anno (e qua bisognerebbe scomodare Bergson) ciò che racconta sembra già vecchio, perché la percezione di questo stesso periodo è caratterizzata dalla sua stratificazione in fasi successive che fanno sembrare la solidarietà del vicinato, le uscite, le code e la chiusura in casa (ora che anche in zona rossa in casa non ci sta più nessuno e la preoccupazione verte sulle difficoltà del piano vaccinale) ormai inevitabilmente superate e irrimediabilmente déjà-vu, pur senza essersi sedimentate in una visione fornita attraverso il filtro del cinema. Anche la possibilità di approfondire stilisticamente la nuova tipologia di relazioni scaturita dalle piattaforme di videocall, che caratterizza la prima parte del film, si riassume in qualche interessante taglio di montaggio con tempi volutamente sbagliati per replicare l’alternanza semicasuale regolata dai microfoni di Zoom, senza che l’insieme di campi e controcampi, split screen e di sguardi in macchina alla fine sia qualcosa di più di una vetrina per qualche sorprendente cameo, come quelli di Ben Stiller e Ben Kingsley, ancora una volta Sexy Beast.
Eppure Locked Down va addirittura oltre e dopo un’ora e dieci tenta di inserire una propaggine crime sfruttando un punto d’incontro tra le occupazioni dei protagonisti e facendo aleggiare, nei toni e nell’idea di una coppia criminale in crisi, il vago ricordo di Mr. & Mrs. Smith, che al di là del suo effettivo valore, rimane uno dei successi di Liman. Il tentativo di sterzata, tuttavia, palesa una volta di più l’errore alla base dell’intera operazione e il film, sfiatato come se fosse preda di una saturazione carente, mostra una delle rapine più loffie mai viste sullo schermo. Per coerenza di genere dovrebbe guardare a Ocean’s Eleven o a Topkapi e invece, priva di suspense com’è, procedendo per puro abbrivio tra gli infiniti corridoi di Harrods, la lunga scena del furto sembra Tutto può accadere senza Jennifer Connelly e senza pattini, facendo precipitare Locked Down nella lunga lista di coloro che ambiscono a beneficiare del decreto “Ristori” senza che ne abbia alcun diritto.
Proprio quando decidono di separarsi, Linda e Paxton si ritrovano nel bel mezzo della pandemia Covid-19, costretti a vivere insieme nella loro casa londinese, a causa del lockdown obbligatorio. Sorprendentemente, anche se non riescono ad andare d’accordo su nulla, i due trovano una tregua quando Paxton viene assunto dall’azienda di Linda per consegnare delle pietre preziose. In isolamento domestico a causa del lockdown in tutto il Paese, dovendo quindi affrontare emozioni e interazioni che avrebbero preferito evitare, vivendo le proprie vite fuori casa, le cose raggiungono un crescendo che culminerà in una rapina epocale da Harrods.