La verità, vi prego, sull'amore! La chiedeva Wystan Hugh Auden e la chiediamo noi spettatori, con lui, davanti a Nessuno si salva da solo, ultimo prodotto della premiata ditta Castellitto – Mazzantini. La verità "vera", per cortesia, non quella falsamente sincera del romanzo omonimo adattato a film. Non la presunta realtà affidata ai continui primissimi piani di Scamarcio e Trinca, belli e infelici, a sottolineare frasi a effetto, stucchevoli, copiate e incollate dal romanzo, quasi la regia preparasse il momento topico chiedendo ai suoi attori di mettersi in posa.
Il montaggio vorticoso à la Muccino vorrebbe ricreare l'intensità e la follia dell'innamoramento di due giovani che, con carne, lingua, cibo rifiutato poi voracemente ingurgitato e sorrisi apertissimi a scoprire denti guasti per problemi di anoressia, cominciano a descrivere quella parabola in cui tutti ci ritroviamo prima o poi invischiati. Ma quanto sorridono, questi due giovani innamoratissimi? E quanto sono poi ingrugniti alle prese con le velleità artistiche deluse (da scrittore ad autore di fiction sui santi; da nutrizionista che sembra aver superato i traumi legati a cibo e infanzia a madre che ha dovuto rinunciare a se stessa)? Il tutto precotto e servito con contorno di amici pseudo-intellettuali che poi sfilano alla festa del cinema di Roma, famiglia d'origine burina, amante leggera quanto stupidina ma dotata di anima, immancabile scena d'isteria la domenica pomeriggio all'Ikea, rivendicazioni di una generazione cresciuta fra le macerie del muro di Berlino e del crollo delle Torri Gemelle.
L'indigestione di flashback a cui ci hanno abituato Castellitto e consorte ruota intorno a campi e controcampi dei due giovani, ora neo-separati, che forse si amano ancora, forse no, o forse sono (momentaneamente) solo troppo orgogliosi per dirselo. E fra loro, immancabilmente, come da copione di Mazzantini, i figli: spesso dei deus ex machina che ricompongono, risolvono, riscattano, qui presenti a costituire problema, ma anche a mantenere ancora legata una giovane donna al marito, a cui dice didascalicamente di vedere i bambini, quando lo guarda.
Il problema dell'opera (non d'arte) nell'epoca della sua riproducibilità tecnica aggiornato ai nostri tempi è forse che si legge il libro, si ascoltano le interviste all'uomo di spettacolo perché la moglie scrittrice deve mantenere la sua aura di autorialità, si vede il film, e tutti contenti del mal comune si torna alle nostre deludenti vite, "nobilitate" dagli sguardi intensi che per un un'ora e mezza hanno indossato tante nostre piccole infelicità.
Bello e rassicurante riconoscersi, in fondo, proprio come accade nei libri di alcuni autori, trasposizione letteraria di conduzioni radiofoniche, che risentiamo in consolatorie trasmissioni televisive, che recuperiamo nelle interviste nei salotti buoni della tv, che ingurgitiamo nelle prove attoriali, che ci fanno sorridere amaramente dandoci l'illusione di essere profondi e di poter ancora essere intensi, fino alla nausea. E continuiamo così, facciamoci del male, senza uscire da noi, dal circuito stabilito, rimanendo comodi sul divano di casa. I vecchi acciaccati, eppure fascinosi e un po' voyeurs, Vecchioni - Molina, doppio della giovane coppia "scoppiata", saggiamente, insegnano.
Un secondo e ultimo favore, però: lasciamo riposare in pace Lucio Dalla e le sue canzoni, ultimamente sfruttate per risolvere catarticamente sequenze mediocri con il gesto facile facile di alzare il volume.
Delia e Gaetano (Gae) sono stati sposati e hanno due figli, Cosmo e Nico. Da poco tempo vivono separati, lei ha tenuto la casa con i bambini, lui vive in un residence. Delia, che in passato ha sofferto di anoressia, è una biologa nutrizionista, Gaetano è uno sceneggiatore di programmi televisivi. Delia e Gae si incontrano per una cena in un ristorante, devono apparentemente discutere dell'organizzazione delle vacanze dei loro figli... ma presto capiamo che quell’incontro servirà ai due protagonisti per compiere un viaggio dentro la loro storia d'amore e scoprirne le ragioni della fine