Andrea De Sica, sin dalla sua opera prima I figli della notte, ha mostrato un interesse esplicito verso l’universo giovanile di oggi, esplorandone le tensioni e affrontando a viso aperto le problematiche sociali, culturali e identitarie che ne permeano l’orizzonte. Lo ha confermato anche con Baby, la serie Netflix sceneggiata – tra gli altri – dal collettivo Grams incentrata sullo scandalo delle baby squillo dei Parioli. Il gruppo di autori torna a collaborare con De Sica nel suo secondo lungometraggio Non mi uccidere, firmando la sceneggiatura, insieme a Gianni Romoli, di quello che di fatto si presenta come un adattamento dell’omonimo romanzo gothic di Chiara Palazzolo.
L’incursione nell’horror - suggestione già accennata ne I figli della notte - permette a De Sica di trattare nuovamente il tema della disconnessione giovanile proiettandolo però più esplicitamente nella dimensione del cinema di genere. L’operazione, tuttavia, riesce solo in parte e, nonostante il contributo di Romoli – collaboratore storico di Özpetek ma anche di Michele Soavi per La setta e Dellamorte dellamore – il film, che pur arriva a costruire una sua personalità estetica, non raggiunge un’effettiva sostanza e incisività narrativa.
De Sica abbraccia con vigore la retorica visiva del videoclip: mentre i due protagonisti, Robin e Mirta (Rocco Fasano e Alice Pagani), sfrecciano in automobile su una strada di montagna, le note di Blinding Lights di The Weekend accompagnano lo spettatore in una sequenza che si propone come un corrispettivo speculare del video dell’artista canadese; in un flashback che mostra il primo incontro tra i due in un club, è invece l’electro hip-hop delle Orties a riempire l’orizzonte sonoro e a mutare l’atmosfera generale del film, muovendosi dalla trasgressione spensierata della sequenza iniziale verso tinte più cupe e introspettive.
Le Orties, d’altra parte, si erano sentite in un film con cui Non mi uccidere ha sicuramente una certa affinità, Raw di Julia Ducournau, un’altra opera che indaga l’orrore in modo viscerale, corporeo, carnale. Il regista romano sembra apprezzare il citazionismo, perché i riferimenti ad altre pellicole non mancano, dal celebre scontro nel corridoio di Oldboy di Park Chan-wook sino ad arrivare a qualche flebile eco lynchiana che si materializza con il ricorso a The Nightingale di Julee Cruise, composta da Angelo Badalamenti e dallo stesso David Lynch.
Al di là di richiami e ammiccamenti più o meno espliciti, De Sica fatica a trovare una direzione precisa ed efficace attraverso la quale trasmettere le frustrazioni e i disagi individuali dei suoi protagonisti. Se in Raw, per esempio, Ducournau ricorreva al cannibalismo come strumento e analogia per parlare di corporeità, di sessualità e in generale dei cambiamenti giovanili, in Non mi uccidere l’uso dell’elemento sovrannaturale non sembra avere la stessa intensità e carica espressiva. Nel corso del film infatti, scopriamo che Mirta è una “sopramorta”, una persona ritornata in vita che per mantenere il contatto con il reale deve nutrirsi costantemente di altri individui, ma la trovata narrativa che pare voler mette in scena un disagio giovanile morboso, intrinseco, probabilmente costitutivo del contemporaneo, viene solamente abbozzata. Mirta e Robin, mai davvero approfonditi, ci appaiono come due personalità vacue, involucri vuoti che vagano senza meta in un universo governato da una nuova legge, quella che oppone i “sopramorti” ai “benandanti” (moderni cacciatori di vampiri), e le questioni più universali, come la disgregazione del nucleo familiare, le conseguenze del trauma della perdita o l’oggettificazione del corpo femminile, rimangono appena accennate.
Non mi uccidere resta dunque un po’ troppo in superficie e non riesce - forse anche per la caricata spettacolarizzazione del grottesco e l’eccessivo sentimentalismo alla Twilight - a brillare davvero nonostante l’indubbia dignità stilistica e l’apprezzabile tentativo di inserirsi in quel percorso condiviso di riscoperta del cinema di genere italiano.
Mirta ama Robin alla follia, lui le promette che sarà amore eterno. In una notte di luna piena la voglia di trasgredire costa la vita a entrambi. La ragazza però si risveglia e non può che sperare che Robin faccia lo stesso, proprio come le aveva promesso. Ma niente è come prima. Mirta capisce di essersi trasformata in una creatura che per sopravvivere si deve nutrire di carne umana. Ha paura. Braccata da uomini misteriosi, combatte alla disperata ricerca del suo Robin.