Nel presentare il suo Quir – A Palermo Love Story, passato all’ultimo Festival di Locarno dopo l’anteprima a Taormina, Nicola Bellucci cita Don Cosimo Scordato, per tanti anni parroco dell’Albergheria: “Una libertà giocosa, che sa alleggerire le tensioni. Che preferisce il frammento alla totalità. Che preferisce il sorriso, che sdrammatizza il peso di una realtà pur pesante”. È esattamente questo ciò che noi spettatori troviamo nel documentario del regista toscano di stanza a Basilea: sorriso, leggerezza, simpatia, amore. Libertà. A partire dall’affetto che l’autore ha provato per Massimo Milani e Gino Campanella (morto, quest’ultimo, nel giugno di quest’anno) quando, nel 2020, è passato davanti al loro negozietto di pellami e borse di Palermo e ha conosciuto questi artigiani nonché attivisti storici della comunità LGBTQI+ della città, che accolgono nella loro bottega amici e conoscenti per parlare, ridere, scherzare, riflettere sul mondo.
Troviamo così Ernesto Tomasini, strepitoso cantante e performer drag queen, che dopo anni di vita a Londra è tornato in Sicilia per assistere la madre anziana, che ha sempre accolto la sua omosessualità e che muore nel corso del film, davanti alla quale inscena spettacolini di cabaret; il novantaduenne Charly Abbadessa, che negli anni ’50 era un attore di Hollywood, ha conosciuto divi del calibro di Rock Hudson e Marilyn Monroe e ora vive nel ricordo di quel bel tempo perduto, tenendosi costantemente in forma con la ginnastica; Vivian Bellina, giovane attrice che ha sperimentato su di sé il processo di transizione al genere femminile ma che rimpiange, a tratti, e sublima nel pugilato, la parte maschile di sé; il poeta “matto” Nando Bagnasco che cammina per Palermo volantinando fogli bianchi, segno dell’impossibilità della poesia.
Ma soprattutto troviamo loro, Massimo e Gino, il primo donna transessuale estroversa e appariscente che continua, però, a definirsi in termini maschili, il secondo uomo tranquillo e riservato, che stanno insieme dal 1978, quando il loro incontro ha portato Gino a lasciare moglie e figli, e che si sono sposati due volte: la prima, simbolica, nel 1993 a Palermo e la seconda, che si vede nel film, come matrimonio politico svoltosi a Giarre e culminante nell’omaggio alle tombe di Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola, morti nella cittadina del Catanese nel 1980 a causa dei pregiudizi omofobici presenti nella Sicilia di quegli anni, delitto che ha portato alla nascita dell’Arcigay di Palermo, nello stesso anno, anche ad opera dei nostri due protagonisti (se n’è occupato di recente Giuseppe Fiorello in Stranizza d’amuri).
La ripresa finale del cimitero che si vede anche all’inizio del documentario riporta lo spettatore all’attivismo di Gino e Massimo, militanti del collettivo FUORI! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) dagli anni ’70 e poi, appunto, fondatori della prima Arcigay italiana; di questo attivismo gioioso (come avrebbe detto Nino Gennaro, poeta e amico dei due) c’è traccia, nel film, nell’esilarante sequenza della manifestazione per il DDL Zan, in cui Massimo imita la futura Presidente del Consiglio ipotizzando (dal suo punto di vista) cosa succederebbe se, una volta approvato il DDL Zan, si affermasse l’«ideologia gender» (inutile ricordare che, dal momento che l’omofobia non è finita nella Sicilia degli anni ’80 ma continua purtroppo ancora oggi in gran parte del mondo, il DDL Zan è stato bocciato al Senato e l’ideologia gender non è mai esistita, essendo un’invenzione del conservatorismo più bieco).
In tutto questo, nello “straniamento empatico” che Bellucci voleva, ed è riuscito a, generare nello spettatore, c’è la città di Palermo: antica, decadente, stramba, diversificata (sono mostrate anche le sue zone più povere) ma comunque ironica e vitale, colorata come la bottega di Gino e Massimo, sfondo ideale per questa storia nostalgica, luccicante e profonda, di memorie individuali ma anche di memoria storica della cultura queer del nostro paese.
Nel cuore di Palermo esiste un negozio che non vende solo borse e cinture, ma custodisce storie, lacrime e battaglie: si chiama Quir. A gestirlo ci sono Massimo e Gino, insieme da quarantadue anni, forse la coppia queer più longeva d’Italia. Nel loro piccolo atelier di pelletteria, l’amore non è un segreto da nascondere, ma una bandiera da sventolare con orgoglio. Quir diventa rifugio per chi cerca ascolto, accoglienza e coraggio in una Sicilia che ancora lotta con il peso della cultura patriarcale.