«C’era una volta…». Sembra essere questo uno dei diktat più importanti nella Hollywood contemporanea: tornare al passato, riscoprire vecchie storie per concedere nuovo smalto facendo leva sulla malinconia di un pubblico mai come oggi affettivamente (ed effettivamente) legato agli inizi.
La Disney già da qualche tempo sta lavorando in maniera esplicita su questi concetti, riproponendo in chiave live action i grandi classici che hanno reso celebre la casa di animazione (Il libro della giungla, Dumbo, Il re leone). Per rispolverare le avventure del tenero orsacchiotto di pezza goloso di miele, hanno deciso di affidarsi a Marc Forster, scelta non banale ma, anzi, decisamente mirata per chiudere una triangolazione potenzialmente molto stimolante e curiosa anche se nei fatti decisamente deludente.
L’idea di Ritorno al bosco dei 100 acri sembra infatti quella di dar forma a un remake non dichiarato di un film che, a dire il vero, non ha nulla a che spartire con Winnie the Pooh e compagnia. Vedendo Ewan McGregor nei panni di un Christopher Robin ormai cresciuto, ossessionato dal lavoro e schivo sia agli affetti familiari che alla spensieratezza di un tempo, si ha la sensazione di ritrovare sullo schermo il Peter Pan interpretato da Robin Williams nel celebre (e più riuscito) Hook - Capitan Uncino di Steven Spielberg. Lo scheletro è esattamente lo stesso: un adulto che rinnega la sua giovine età, ma che solo riscoprendo il piacevole e innocente gusto dell’infanzia sarà in grado di consolidare il legame con la sua famiglia.
Ritorno al bosco dei 100 acri si fa quindi portavoce di un più complesso e stratificato «c’era una volta…», mirato a dialogare non solo con gli animali del boschetto ma anche con l’eterno fanciullo per eccellenza. Forster avrebbe probabilmente dovuto dimostrare più polso per poter gestire al meglio tale parallelismo, lavorando con maggior decisione su una triangolazione che lui e pochi altri avrebbero potuto portare a termine: il regista infatti aveva già trattato la materia legata all’isola che non c’è nel 2004 dirigendo Neverland - Un sogno per la vita, biopic incentrato sulla figura di James Matthew Barrie, autore di Peter Pan.
Eppure, invece che assumersi la responsabilità di un anello di congiunzione attivo e potenzialmente insostituibile, il regista si nasconde dietro la cinepresa palesandosi solo nei momenti meno felici del film ai quali, purtroppo, la sua carriera ci ha già abituati da tempo. Il duplice «c’era una volta…» finisce così per allontanarci dal presente cinematografico invece che sfruttare la sua componente più affascinante per provare a proporre uno sguardo nuovo e originale in grado di indirizzare il cinema d’intrattenimento verso nuovi lidi.
Così, se alla già ampia distanza che ci separa dall’isola che non c’è sommiamo quella altrettanto irraggiungibile del bosco dei 100 acri, allora tornare ad affezionarsi a quei personaggi diventa davvero complesso.
Diventato adulto, Christopher Robin è intrappolato in un lavoro stressante e sottopagato e ha davanti a sé un futuro incerto. Ha una moglie e una figlia ma il lavoro gli lascia poco tempo da dedicare alla famiglia. Christopher ha quasi dimenticato l’infanzia idilliaca trascorsa in compagnia di un orsetto di pezza un po’ sciocco e goloso di miele e dei suoi amici. Ma quando si ricongiunge con Winnie the Pooh, lacero e sporco dopo anni di abbracci e giochi, la loro amicizia si riaccende, permettendo a Christopher di ricordare gli infiniti giorni di meraviglia e immaginazione che hanno caratterizzato la sua infanzia, quando non fare niente era considerata la cosa migliore al mondo.