I miei. Senza bisogno di aggiungere altro. È un'espressione efficace 'i miei', un pronome possessivo che - tanto in francese quanto in italiano - si fa nome per indicare, senza bisogno di specificazioni, la famiglia. Come se il legame con la famiglia non avesse in fondo bisogno di ulteriori dettagli ma radicasse la propria legittimità nel legame stesso, a prescindere da tutto.
Eppure le famiglie sono spesso un gran casino e tante volte il cinema ce lo ha raccontato tra tragedie, disperazioni, odi, dolori e disfunzionalità di ogni sorta. Ma non è il caso del film di Roschdy Zem, che, al contrario, racconta la famiglia come un organismo composito ma indissolubile, una cellula che, al di là di ciò che la attraversa e ne sconquassa gli equilibri, in qualche modo si tiene e ci tiene.
È un film evidentemente personale Ritratto di famiglia (Les miens) - in parte ispirato a una vicenda vissuta dallo stesso Zem con uno dei suoi fratelli - ma la volontà del regista, sceneggiatore e interprete è quella di mettere in scena un racconto che trascini lo spettatore all'interno di questa numerosa famiglia restituendo una sorta di universalità umana ed emotiva. Così Zem, ci butta fin dalla prima inquadratura dentro le dinamiche di un nucleo che raccoglie tre fratelli e una sorella con i rispettivi figli e compagni: ognuno ha la propria vita, i propri problemi, il proprio carattere come le piccole annotazioni e coloriture che i dialoghi scritti insieme a Maïwenn (anche nel cast) lasciano trapelare senza di fatto raccontarli mai nei loro universi personali. Tutto invece è riportato al nucleo e al preciso ruolo che ognuno di loro ha al suo interno, necessario agli altri e aggrappato a loro, chi pronto a dissimulare la verità per il bene comune, chi ad accudire, chi a divertire, tutti comunque pronti, soprattutto, a sopportare le continue mancanze di Ryad sempre centrato su se stesso e sulla propria folgorante carriera di anchorman televisivo. L'equilibrio però si spezza quando il mite Moussa, in seguito a una caduta e a un grave trauma cranico, scombussola le vite di tutti manifestando un’aggressività sconosciuta che rivela una conflittualità sommessa e costringe i vari personaggi a riposizionarsi, per primo proprio Ryad cui è Zem stesso a prestare il volto.
Roschdy Zem, Sami Bouajila, Rachid Bouchareb, Ritratto di famiglia riunisce alcuni tra i più noti attori francesi di origine magrebina ma proprio nella sua capacità di uscire dal cliché e dal tema del condizionamento culturale - percorrendo invece la strada di una deproblematizzazione assoluta della questione delle origini in virtù di una completa integrazione borghese - riesce a trasportare il racconto altrove, sul territorio ricercato della pura questione psicologica e relazionale. E lì rimane, con la fluidità di una scrittura precisa e scorrevolissima e una direzione di attori all’insegna della massima naturalezza, seminando qua e là questioni come il differente ruolo della tecnologia nella vita delle vecchie e nuove generazioni, come l’incapacità di parlare nonostante la volontà di esserci, come la necessità di fermarsi e fare i conti con se stessi assecondando con misura la forma della commedia corale e di un intelligente cinema 'medio' in cui la Francia continua a esprimersi al meglio.
Moussa è sempre stato gentile, altruista e presente con la sua famiglia. Al contrario di suo fratello Ryad, noto presentatore televisivo, che viene rimproverato da chi lo circonda per il suo egoismo. Lo difende solo Moussa, che per lui ha una grande ammirazione. Una sera Moussa sbatte violentemente la testa cadendo e subisce un trauma cranico. Irriconoscibile, inizia a parlare senza filtri e dice a parenti ed amici scomode verità sulla propria famiglia. Finisce per litigare con tutti, tranne con Ryad...