Nella lunga scena conclusiva, davanti allo svelamento del “colpevole” uno dei personaggi se ne esce, con evidente sorpresa, con un semplice «Tu?!». E il “colpevole” risponde: «Naturalmente!». La sorpresa è farlocca e di pura prassi, come d’altronde è farlocca la soluzione del mystery: a qualcuno interessa ancora conoscere, ogni volta, cioè ad ogni episodio, il volto dell’assassino? No, perché Scream, come ogni saga horror, ha conquistato nel tempo un altro abito, ben diverso dalla reiterata – e francamente “inutile”, oltre che noiosa – suspense rivelatoria (o facilmente metacinematografica). Quell’avverbio, al contrario, naturalmente, detto con fare deciso ed esclamatorio, acquista nel contesto un significato importante. Che a suo modo riflette l’intero impianto del film, il sistema della serie, il suo archetipo.
Scream esercita oggi un ruolo di museificazione che è anche archiviazione e celebrazione funeraria del fandom. Con più forza determinante rispetto al requel del 2022 (il capitolo numero 5 che fungeva assieme da reboot e da sequel), Scream VI straccia le vesti dell’omaggio e della cinefilia postmoderna da cui tutto prende origine per svolgere un compito meno previsto e prevedibile, quello di riordine ideologico e recupero in extremis dell’idea di famiglia. Al di là però di qualunque autoriflessività: family non come organigramma di norme e dinamiche conosciute, non come strumentazione organolettica, ma come vera e propria comunità di persone. Durante il finale, pasticciato fin che si vuole ma estremamente chiarificatore, si scoprono le carte di un’opera che viene a coprire (poco importa se consapevolmente o no) una precisa posizione antropologica (e politica) contemporanea. Gli adolescenti protagonisti di Scream VI ci tengono a più riprese a identificarsi come gruppo, come – appunto – famiglia. A tal riguardo, brindano pure. Sono i sopravvissuti del massacro di Woodsboro, e a New York tentano di rifarsi una vita. Non è un caso che dalla provincia si passi alla metropoli: la serie ci guadagna molto, e ci guadagna il suo senso odierno. Che è assolutamente diverso sia dal lavoro di David Gordon Green con Halloween, improntato più sull’ereditarietà (femminile) del male in quanto contagio, sia dalla centralità iconica delle grandi saghe del genere, da Nightmare a Venerdì 13, compresi i loro reboot.
Questo “nuovo” Scream ambisce a credere ancora che a salvarci, in uno scenario di morte, è l’unione tra individui. Oltre ogni legame di sangue. Family. Non è un caso che il confronto finale avvenga in un vecchio cinema-teatro che ha la cupezza della batcaverna di Nolan e che esibisce dentro teche di vetro il materiale che ha formato e modellato la serie, dalle maschere alle armi bianche ai best-seller di Gale Weathers: l’oggettistica diegetica assurge così a reificazione extradiegetica dell’intero complesso-Scream, che Scream VI rende catalogo museale officiandone la sepoltura. «Chissenefrega dei film!», pronuncia con enfasi Ghostface prima di un fendente fatale (durante un magnifico omicidio ambientato in un minaccioso alley da noir, tra bidoni di spazzatura, ombre e sporcizia, mentre alle due estremità la città brulica d’esistenza): esatto. Il film è morto, e con lui sono morti e sepolti le rivelazioni, le epifanie, i meccanismi primari dello slasher, i colpevoli, chi viene sbudellato e chi respira ancora, i fan e i gadget e il merchandising e, grazie al cielo, finalmente, naturalmente!, lo spoiler e la sua sacralità contemporanea.
«Colpo di scena nel colpo di scena», si dice infine: nessuno muore per davvero (fatelo, il body count di Scream VI: è il più basso e “trascurabile” di sempre) perché tutto ciò di cui Scream è fatto è già morto, inventariato, rubricato. Cosa rimane? La famiglia, ecco. E cioè una comunione di intenti (salvare la pelle), di nascita (Woodsboro), di fedi (non-essere-responsabile di nessun spargimento di sangue), senza alcuna parentela anagrafica, senza apparentemente alcun affetto ereditario e dovuto. Senza, forse, amore. È qui, allora, che Scream VI diventa l’ideale rappresentazione dell’assenza che caratterizza il presente, post-pandemia, post-empowerment, post-woke, un presente senza immagini degne di nota o innovative perché tutte già schedate, senza sentimenti decisori, senza risoluzioni, senza tensione, senza mistero, e dove l’accordo generazionale (restare uniti) è l’intesa di una gioventù a cui il mondo degli adulti (anche quale universo cinematografico autoriale) non ha più niente da offrire (neppure sotto forma di cinefilia), e che può girare pagina soltanto dimenticando il passato, le regole, i consigli, le lusinghe, i paternalismi. Da Scream VI si deve uscire vittoriosi malgrado e nonostante Scream. Colpo di scena nel colpo di scena dei colpi di scena: in Scream VI, anche quando raffazzonato e sciocco, è Scream ad essere morto per davvero. Era ora.
Scream VI segue i sopravvissuti agli ultimi omicidi di Ghostface, le sorelle Samantha e Tara Carpenter e i gemelli Chad e Mindy Meeks, che si lasciano Woodsboro alle spalle e iniziano un nuovo capitolo della loro vita a New York...