Sofia ha 20 anni e vive a Casablanca coi genitori. Sofia è bruttina, anzi, forse è proprio brutta. Più che altro, non deve essere facile confrontarsi con la bellezza della madre e della zia, e ancor di più con la cugina Lena, che, oltre che bella, è disinvolta (ha il padre francese, e vive a Sidi Rahal, in una casa spettacolare sull’oceano), e se non bastasse è medico, e si sta specializzando in oncologia. Durante un pranzo dove tutta la famiglia è riunita, Sofia sta dando una mano in cucina, finché, a un certo punto, non può ignorare le fitte che le attraversano il ventre. Per Lena, che viene in suo aiuto, è abbastanza presto chiaro che la cugina è incinta, e che lei per prima ha ignorato i sintomi della gravidanza; nessuno di certo si aspetta che, da lì a poco, si romperanno le acque.
Avere rapporti sessuali al di fuori del vincolo di matrimonio, in Marocco, è punito dalla legge con un anno di carcere, e a Lena non sfugge il fatto che il piccolo che sta per nascere non è certo frutto di un miracolo; quando finalmente Sofia dà alla luce una bambina, il vero problema sarà ricucire i rapporti col padre della piccola, entro 24 ore, prima che l’ospedale contatti le autorità per procedere penalmente.
Meryem Benm’Barek, che è nata a Rabat ma è cresciuta in Belgio, prende a pretesto una situazione non infrequente nel suo paese di origine per raccontare, con una sicurezza ammirevole e nella misura classica degli 80 minuti, i due volti della nazione marocchina, quello arretrato e tradizionalista e quello progressista e moderno, due volti che nella quotidianità sono separati da una cesura netta, che in sostanza impedisce un reale progresso del Paese; e lo fa mettendo al centro la famiglia, la tradizione e la legge.
Da questo punto di vista è emblematico, una volta individuato il padre putativo della creatura – il giovane Omar, che vive in un quartiere popolare – che il confronto tra le famiglie avvenga nello spazio confinato del salottino di un riad con due divani affrontati, attraverso un gioco di campo/controcampo “a tre volti”, che asseconda con piccole variazioni il procedere della negoziazione, ponendo in rilievo il reciproco avvicinamento delle parti, gli uni intenzionati a contenere lo scandalo e evitare grane penali, gli altri allettati dalla possibilità di un miglioramento economico legato all’upgrade sociale derivato da un matrimonio riparatore.
È in quella stanzetta semplice ma luminosa, connotata da tutti i segni della tradizione e dell’ospitalità magrebina, che Benm’Barek fa emergere una traccia importante del discorso, l’intesa trasversale, interclasse, tra le donne, una sorta di matriarcato-ombra, è la vera forza motrice, in un contesto dove gli uomini sembrano tutti accomunati da un’eccessiva preoccupazione per l’onore, per la tradizione, e da una vocazione al silenzio. Ovviamente il dialogo tra queste donne, che passa più attraverso scambi di sguardi in primo piano che non attraverso le parole, è tutt’altro che privo di condizionamenti e ambizioni personali.
E, purtroppo, la stessa Sofia, rifiutando, giustamente, di essere una vittima, si illude di fare il bene di Omar, che è una vittima a propria volta, e lo è due volte: del sistema, delle pressioni sociali e del meccanismo messo in moto da questa giovane, conosciuta per caso in un call-center.
Perché, sembra ricordarci Meryem Benm’Barek, c’è tanto da fare, forse non solo in Marocco, partendo dalle donne, puntando sulle nuove generazioni. Forse.
Sofia, vent’anni, vive a Casablanca con i suoi genitori. Durante un pranzo di famiglia, ha violenti crampi allo stomaco. Sua cugina Lena, studentessa di medicina specializzanda in oncologia, capisce subito e con discrezione la situazione: Sofia sta per partorire. Nessuno sapeva della sua gravidanza e, usando come scusa la necessità di recarsi in farmacia, Lena prende l'iniziativa di portare Sofia all'ospedale, dove partorisce. Ma ci sono solo 24 ore per risolvere un grosso problema: Sofia deve sposarsi per non infrangere la legge. Inizia così la ricerca del padre…