Non ci andò lontano Max Pezzali quando nel 1992 cantava Hanno ucciso l’Uomo Ragno. Sbagliò solamente l’articolo. Infatti secondo la logica del nuovo, entusiasmante, film su Peter Parker, di Uomo Ragno ne muore uno: uno dei tanti. Non c’entrano nulla le pubblicità, né tanto meno le industrie di caffè: è la mala che uccide uno Spider-Man.
Lasciando per un momento da parte tutte le riflessioni inerenti al rapporto che questo ultimo progetto sul "tessiragnatele" intreccia con il fumetto di partenza, Spider-Man: Un nuovo universo desta sicuramente interesse non solo per il coraggio con cui si mostra sul grande schermo ma soprattutto per l’intelligenza adottata nell’inserirsi all’interno di un mercato ormai sempre più prevedibile e monocorde. Il ruolo della Marvel in questo nuovo millennio è assodato e risaputo. In molti accusano la casa di produzione di arroccarsi dietro poche idee originali poi spremute all’inverosimile. I cinecomics hanno in effetti dato vita a una moda in grado di unire cinema, fumetti, gadget, games, serie televisive… un fenomeno mirato alla fidelizzazione e alla creazioni di veri e propri brand che continuano a cavalcare il mercato e a dettarne le leggi (basti ad esempio analizzare il box office italiano del 2018 e notare come, tra le prime dieci posizioni, vi siano moltissimi esempi di sequel quali Avengers: Infinity War, Gli incredibili 2, Hotel Transylvania 3, Jumanji 2, Jurassic World 2, Animali Fantastici 2).
All’interno di questo multiforme ma sempre identico panorama, Spider-Man: Un nuovo universo prova quindi a indossare la maschera della pecora nera facendo di necessità virtù. È infatti inevitabile ripetersi dopo che le avventure dell’Uomo Ragno sono state già state trasposte al cinema per ben tre cicli (il Peter con il volto di Tobey Maguire, quello di Andrew Garfield e infine Tom Holland). Eppure è la prima volta che ci si concentra in maniera massiccia sulla filosofia squisitamente emotiva più cara a Stan Lee, quella che non prevede un solo volto dietro la maschera, ma un’infinità di potenziali eroi che abbiano come unico obiettivo fare la cosa giusta. Ecco allora giustificata la presenza di numerosi universi con altrettanti Spider-Man, tutti chiamati a raccolta in un film, l’ennesimo sì, ma che racconta la genesi e le gesta di un altro Uomo Ragno.
Se narrativamente la base del progetto diventa quindi perfettamente calata nel mercato attuale, pur lasciandosi ampiamente apprezzare per la cialtroneria e la leggerezza che una produzione Sony può vantare invece della più ingessata Marvel (a sua volta soggiogata da Disney), il nuovo universo citato dal titolo è piuttosto da ricercare dal punto di vista estetico. La scelta di girare il tutto con la tecnica animata permette infatti ai registi di non porre alcun freno alla fantasia visiva e firmare una sorta di fumetto animato che lascia a bocca aperta: vignette, tratti eterogenei, variazione dei frames per secondo e onomatopee sono i caratteri più distintivi per incanalare il film all’interno di qualcosa di mai visto, un’operazione talmente sincera e appassionata nel dar “nuova” vita al celebre supereroe che instaura con il suo protagonista un dialogo filologico prendendo le mosse proprio dalla fonte creativa primaria: le nuvole parlanti. Era dai tempi del Sin City (2005) firmato da Robert Rodriguez che il connubio tra cinema e fumetti non si dimostrava così calzante e innovativo. Se questi sono i risultati nell’uccidere il nostro amichevole Spider-Man di quartiere, allora ben vengano anche la pubblicità e le industrie di caffè.
Morales, teeneager afroamericano di Brooklyn, è un ragazzino timido e pieno di insicurezze. Ma una volta indossata la maschera di Spider Man cambia radicalmente: con il costume addosso non ha paura si tuffarsi dai grattacieli, dondolarsi tra i cornicioni o surfare tra le auto in corsa. Ma coniugare la problematica vita scolastica a quella frenetica di supereroe novello non è sempre così facile.