Ispirato al libro Le mappe dei miei sogni dello scrittore statunitense Reif Larsen, il film tenta di riprodurne la confezione, grazie anche all'ausilio del 3D: se il romanzo si compone di mappe e disegni che illustrano la passione inventiva del piccolo protagonista, il film apre i tre capitoli che lo costituiscono con le pagine di un libro pop-up aventi la funzione di piani d'ambientazione. L'intera pellicola, poi, è farcita di fantasmagoriche soluzioni à la Amélie Poulain.
Il piccolo protagonista sembra infatti la versione infantile dell'Amélie interpretata da Audrey Tatou nel precedente film di Jean-Pierre Jeunet. Come lei, T.S. è dotato di quella determinazione frammista a innocenza che permette di conseguire i propri bizzarri obiettivi in un mondo altrettanto bizzarro. In questo caso raggiungere dal Montana la prestigiosa sede dello Smithsonian Institution, a Washington, per ritirare un premio assegnato all'invenzione dell'anno, che nessuno sa realizzata da un bambino di dieci anni. Il piccolo eroe vive così un rutilante e fiabesco road movie, in direzione ostinata e contraria, da ovest a est, avendo come meta ultima il superamento delle proprie paure più grandi.
Un altro, sembra farci intendere Jeunet, è il traguardo che deve raggiungere il piccolo protagonista: elaborare un lutto su cui è calato il silenzio nella sua sgangherata famiglia, la morte del fratellino gemello, in un incidente di cui T. S. si sente silenziosamente responsabile. Forse solo i momenti in cui T. S. si trova di fronte al fratello Layton (che si tratti dei loro giochi in flashback o di proiezioni della mente bambina che fatica a tracciare i confini fra la realtà e il proprio mondo emotivo) restituiscono paradossalmente la vena più vera, quella malinconica, dell'infanzia.
Il film appare infatti affastellare una serie di motivi e questioni, caricando inquadrature e trama all'inverosimile. Delinea macchiettisticamente le figurine strampalate dei componenti della famiglia Spivet, immersi, ognuno a proprio modo, nel paesaggio dai colori saturi e nello stile di vita del Montana più rustico. Osserva con partecipazione che sa di melassa l'alterità del bambino prodigio rispetto all'ambiente western e all'incomprensione dei famigliari segnati dal lutto, seguendolo poi in un viaggio di formazione in cui entra in contatto con altri personaggi - macchiette prive di qualsiasi sviluppo, appiccicate a forza (il barbone-marinaio, per esempio). Disegna infine, in modo manicheo, il contrasto fra i sogni del bambino e il cinismo dell'adulto, con una spruzzatina critica – chi più ne ha più ne metta - nei confronti della manipolazione di fenomeni e sentimenti operata dai mezzi di informazione.
Se il film voleva essere una "materializzazione" delle figurine dei libri per l'infanzia, appare abbastanza riuscito, soprattutto nella sua dimensione fiabesca, in cui primeggia Jeunet, anche esperto nel campo dell’animazione e della pubblicità. Ma se ambiva ad altro, ha sottovalutato l'intelligenza e il cuore dello spettatore. Quello che fa difetto è soprattutto l'empatia con i personaggi, ridotti a figurine saltate fuori da un pop-up e interpretati da attori (persino la Bohnam Carter!) che sembrano mettersi in posa per sillabare frasi ad effetto e stucchevoli. Addirittura il protagonista, bambino saputello e carino, appare a tratti insopportabile, irritante. Forse piacerà ai più piccoli, ma mi raccomando, che siano davvero molto piccoli!
T.S. Spivet è un bambino prodigio di 10 anni con una passione per la cartografia e le invenzioni. Un giorno T.S. riceve una telefonata inaspettata dall'Istituto Smithsonian che gli annuncia la vittoria del prestigioso premio Baird per la sua invenzione di un dispositivo dal moto perpetuo. All'insaputa di tutti, per ritirare il premio e tenere il suo discorso di ringraziamento, T.S. salta su un treno merci e intraprende il suo stravagante viaggio attraverso l'America in direzione Washington... ma allo Smithsonian tutti ignorano che T.S. è solo un bambino!