C’è horror e horror. E ciò che Irving Malin definisce Nuovo Gotico Americano, a partire dal romanzo di Shirley Jackson La casa degli invasati (1959). Un immaginario che sostituisce la home come prigionia principalmente sessuale con il cosiddetto “narcisismo confinato”, ovvero la paura del proprio io. La casa, dunque, intesa come nucleo famigliare ma anche come struttura architettonica, edificio, all’interno della quale trova compimento l’orrore.
«Nessun organismo vivente può continuare per molto a mantenere la propria sanità mentale in condizioni di assoluta realtà […]. Hill House, insana, stava da sola contro le colline, contenendo in sé solo il buio; era stata così per ottant’anni e poteva rimanere tale per altri ottanta. […] il silenzio si stendeva sul legno e la pietra di Hill House, e qualsiasi cosa vi fosse dentro, era sola».
Così Jackson descrive il suo luogo nell’incipit del libro. Adesso non sorprenderà più nessuno, abituati come siamo agli stereotipi: ma la prosa sopraffina della scrittrice (e quell’insana, da solo fra virgole, è quanto di più folgorante ed esauriente si possa pensare) fu davvero un giro di boa per il genere. Dopo l’avvicinamento sconvolgente dell’altro da sé, l’horror diventa improvvisamente il terreno privilegiato per l’incontro con il sé più sconosciuto e rimosso. Non soltanto per conoscersi meglio: ma per conoscere la Storia. Un incontro il più delle volte violentemente decisivo, e prepotentemente insano.
Lo specchio di Oculus, incorniciato nel legno nero di cedro, la attraversa, la Storia, per giungere in una casa e una famiglia odierne. Esso, già di suo una casa del male. Si tratta prevedibilmente di un attraversamento di sangue: perché a trovare la morte e a trovarvi dimora dentro sono i cittadini (ricchi signori, magnati, collezionisti, madri, padri, improvvisamente impazziti, assassini, suicidi) e gli anni, gli uomini e i secoli. La Storia, letteralmente, si ripete. Provate a sostituire questo specchio a Hill House, nelle parole di Jackson, e il risultato è il medesimo.
Ma Oculus non è una riflessione sui cadaveri che giacciono nel sottosuolo di un intero Paese: sarebbe pretendere un po’ troppo. Però è un limpido esempio di horror adulto capace di osservare e mettere in crisi gli abiti dell’imperatore, cioè della persona, questo sì. Credetemi, nel genere contemporaneo è una specie di toccasana. È un horror totalmente démodé, Oculus, che presenta un impaginato tradizionale in grado però di piegarsi e di rilanciarsi, di ripiegarsi e di combinare le sue parti spiegazzate. E così facendo, prima spezza le sicurezze dei personaggi (tutti: non ci sono eroi né verità), e poi formula una tesi che è tipica del Nuovo Gotico Americano e che oggi suona quasi innovativa: per capire da dove vieni, guardati.
Niente di nuovo? Sarà, ma fatelo voi un horror che s’interroga sull’identità (arrivando per giunta a conclusioni tutt’altro che serene) in maniera così antispettacolare, antimajor, con un impiego parco e dosatissimo del cliché (non c’è niente di male, basta saperlo adoperare) e dello spavento, un uso ricorrente e abile del flashback che s’incastra nel presente e viceversa, la sensibilità rara di non scadere nella soluzione più prevedibile e facile, il coraggio di non rimettere a posto le cose.
Forse lo spettatore moderno, e addirittura il fan, farà fatica ad apprezzare: però Oculus (che è un gran passo avanti rispetto all’esordio comunque interessante del regista Mike Flanagan, Absentia, inedito in Italia) è, con le dovute proporzioni, quanto di più aderente e vicino a film come Gli invasati di Robert Wise (tratto dalle pagine di Shirley Jackson) e Dopo la vita di John Hough l’horror attuale possa dare.
La famiglia Russell è stata colpita da una terribile tragedia che ha segnato per sempre la vita dei fratelli Tim e Kaylie. Dieci anni dopo, Tim, che era stato accusato del brutale assassinio di entrambi i genitori, lascia il carcere con l'unico desiderio di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare. La sorella Kaylie invece, ancora ossessionata da quella fatidica notte, è fortemente convinta che la morte dei suoi genitori sia stata causata da qualcos'altro. Secondo la ragazza, una forza maligna risiederebbe in un antico specchio che si trovava nella casa di famiglia. Kaylie, determinata a provare l’innocenza del fratello, rintraccia lo specchio e scopre che nel corso dei secoli i diversi proprietari dell'oggetto sono stati tutti vittime di morti violente simili a quella dei suoi genitori. Ora che lo specchio è di nuovo nelle loro mani, Tim e Kaylie sono decisi a scoprire la verità, ma si renderanno conto troppo tardi che l'incubo della loro infanzia è tornato.